Aziende e regioni

Cure palliative domiciliari, a Olbia la Asl assiste il 100% dei pazienti

di Rosanna Magnano

Un servizio oncologico formato da una squadra di 12 medici e 22 infermieri divisi in due équipe che giorno (e notte) si spostano sul territorio con 4 unità mobili (due Panda e due fuori strada) e fanno da spola fra i tre ospedali della Asl di Olbia e le case dei pazienti (oncologici e non) in fase terminale, erogando cure palliative domiciliari e assistenza. È il servizio Cpdo, che ha mosso i suoi primi passi nel 1999-2000 per diventare poi strutturale dal 2006 in poi e inserito nel progetto di sviluppo delle cure domiciliari di terzo livello dal 2013.

Un vero «ponte» tra ospedale e territorio che a costi contenuti riesce a seguire da vicino i malati inguaribili, senza lasciare «solo» neanche un paziente. Un’esperienza di successo che ha portato il servizio sanitario pubblico a prendere in carico una quota crescente di pazienti fino ad arrivare al 100% nel 2015. Un’efficacia provata da un risultato eclatante: il 97% dei decessi è avvenuto a domicilio contro il 3% in ospedale. Il tutto su un territorio difficile, con una densità abitativa molto bassa rispetto alla media nazionale e regionale e notevoli distanze da percorrere tra un domicilio e l’altro, non sempre con buone condizioni di viabilità.

«L’équipe di cure palliative - spiega Salvatore Ortu, direttore sanitario dell’Asl di Olbia e responsabile della rete oncologica aziendale - opera a domicilio con accessi programmati in relazione alle esigenze e a richiesta per le urgenze. Quando necessario chiede la disponibilità di altre figure specialistiche, programmando l’accesso a domicilio per prestazioni esportabili o l’intervento in Ospedale per prestazioni non esportabili».

Un modello H24
Il modello prevede che i pazienti vengano curati a casa propria dal Mmg e dall’equipe specialistica, composta da medici e infermieri dell’Oncologia, con la collaborazione delle famiglie, di specialisti di altre discipline presenti in ospedale o nel territorio, dei servizi sociali e del volontariato.

L’assistenza è fornita dal lunedì al sabato dalle 8.00 alle 20.00 ed è garantita la reperibilità medica e infermieristica per le urgenze nelle ore notturne e nei festivi.

Tra luglio 2006 e il 31 dicembre 2015 l’Asl di Olbia ha assistito in regime di Cpdo 1.347 pazienti di cui 245 nel corso del 2015 con 192 decessi.

I pazienti in fase terminale presi in carico dal nucleo Cpdo sono clinicamente instabili e richiedono numerosi e complessi interventi terapeutici che normalmente vengono eseguiti nelle strutture ospedaliere. «I vantaggi - continua Ortu - sono apprezzabili sia dal punto di vista umano, perché la casa è quasi sempre il luogo più indicato per il fine vita, sia da quello dei costi».

I risparmi sui costi
Il costo totale per paziente - mediamente circa 60 giorni di assistenza con coefficienti Cia sempre superiori a 0,60 - è stato di poco inferiore ai 3.000 euro, in linea con altri modelli regionali di cure palliative domiciliari e di circa 2.5 e 12 volte inferiore rispettivamente a un ricovero in hospice o in reparto per acuti.

«Il costo di una giornata effettiva di assistenza domiciliare - spiega Ortu - è di circa 90 euro per paziente a fronte di un costo di 150 euro per una giornata in Rsa, di 300 euro in hospice e di 600 euro in ospedale».

E i riscontri sono positivi anche dal punto di vista dei familiari, che in un questionario anonimo basato su una scala da 1 a 5, hanno espresso buoni livelli di soddisfazione su controllo dei sintomi (4), dialogo con il personale (4.5) e adeguatezza accessi al domicilio (4.5).

Tra i costi diretti per fattore operativo, il primo è di gran lunga quello relativo al personale: nel 2011 su un totale di 357.736 euro, 326.587 sono stati spesi per medici e infermieri. Al secondo posto ci sono i beni (presidi sanitari e materiale diagnostico per un totale di 18.810 euro) e al terzo posto i beni non sanitari (noleggio, carburante, utenze, ammortamento, manutenzione, altri costi per un totale di 12.337 euro).

Le cure palliative domiciliari, pur rappresentando a Olbia una vera e propria best practice non possono bastare. «Dal momento che sul nostro territorio non ci sono hospice - conclude Ortu - abbiamo fatto di necessità virtù. Ma questo modello positivo non ci esime dalla necessità di prevedere la costruzione di un numero adeguato di strutture. Anche perché non tutti i pazienti terminali sono eligibili alle cure domiciliari e non sempre i contesti, sociale e familiare, sono adeguati».


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