Aziende e regioni

Il «caso Calabria» e l’occasione di un welfare finalmente integrato offerta dalla revisione della Costituzione

di Ettore Jorio (Università della Calabria)

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24 Esclusivo per Sanità24

In Calabria, ove si fa davvero fatica a rintracciare uno stabilimento ospedaliero pubblico in possesso dei requisiti minimi per essere definito tale (per non parlare di quelli ulteriori richiesti per il rilascio dell'accreditamento), la Magistratura si sta occupando in questi giorni dell'Azienda ospedaliera di maggiore prestigio erogativo. L'Annunziata di Cosenza, presidio di spedalità organico all'omonima azienda ospedaliera, si è resa destinataria di una accurata ispezione disposta dalla Procura della Repubblica, invero dimostratasi attenta alla tutela del diritto alla salute. Un atto dovuto, generativo di provvedimenti di sequestro cautelativo, conseguente alle diverse denunce intese a sottolineare la precarietà del sistema ospedaliero calabrese, produttiva di pericoli all'integrità delle persone residenti.

Il problema della salute che non c'è non è un fatto che riguarda solo la Calabria. È quasi tutto il sistema ospedaliero del Mezzogiorno che fa acqua (rectius, danni incalcolabili alla salute), fatte le dovute distinzioni. Principalmente delle otto Regioni sottoposte ai piani di rientro, della quali cinque ingabbiate da inutili e spesso dannosi commissariamenti che continuano a fare ciò che hanno fatto i soggetti istituzionali surrogati. Ciò in quanto è la norma in senso lato ad essere inadeguata, così come palesemente inadeguati hanno dimostrato di essere gli advisor, a costoso servizio, e i Tavoli romani cui il legislatore ha assegnato compiti inaccettabili di controllo gestorio, esercitati in modo così superficiale da divenire generatori di ulteriori danni piuttosto che di soluzioni.

Quanto alla attuale inadeguatezza dei sistemi regionali, soprattutto ospedalieri non si sottolinea (così come si dovrebbe!) il loro complessivo deficit organizzativo esclusivamente derivante dal blocco del turn over che ha prodotto il maggiore vulnus, determinato dall'insufficienza del personale ritenuto ex lege minimo per garantire prestazioni normali.

Leggi ordinarie e Costituzione. La Politica, a fronte di un tale grosso problema, deve assumersi l'onere di rivisitare coraggiosamente tutta la disciplina ordinaria, solo che abbia la reale intenzione di rendere esigibile la salute ovunque e uniformemente.
La revisione della Costituzione, all'esame referendario, offre l'occasione di porre le basi per farlo. Con l'integrazione art. 117, comma 2, lett. m) si avrà, finalmente, l'opportunità di avere una sanità e un'assistenza sociale (quest'ultima sino ad oggi assurdamente rimessa alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni) degne di questo nome, attraverso la formazione di un welfare assistenziale integrato che renda più uguali i cittadini. Lo si avrà attraverso l'attrazione in capo allo Stato della tutela della salute e delle politiche sociali, che consentirà un'assistenza socio-sanitaria non più disegnata discriminatamente e male dalle Regioni bensì dalle regole statali. Ciò in quanto viene attribuita alla competenza esclusiva dello Stato - oltre alla individuazione dei Lea - l'approvazione delle «disposizioni generali e comuni», funzionali a determinare la concreta e dettagliata portata degli interventi sanitari e/o sociali minimi da garantire alla collettività.
Per meglio comprendere la novità, è appena il caso di sottolineare che i Lea altro non sono che le attività, distinte per tipologia scientifica, assicurate dal sistema pubblico e privato accreditato e abilitato ad hoc (rectius, titolare di contratto con il SSR) in un regime di appropriatezza. Un valore che ha rappresentato e rappresenta per molti italiani (in cima, i 25 milioni che popolano i cinque SSR commissariati) un elemento di misura quali-quantitativa prevalentemente teorico e, dunque, non obiettivamente rivendicabile. Un deficit che troverebbe - per l'appunto - nelle «disposizioni generali e comuni», se bene esercitate dal legislatore statale, la garanzia di un loro corretto e concreto godimento. Con questo il medesimo dovrà fissare legislativamente regole invalicabili per garantire lo spessore e i tempi di esecuzione delle prestazioni dovute alla collettività, con consequenziale giustiziabilità del diritto relativo nel caso di sua lesione.

Da un'eventuale prevalenza del Si, alle Regioni rimarranno la programmazione e l'organizzazione, nei confronti delle quali, particolarmente quelle Mezzogiorno, dovranno misurarsi con maggiore impegno rispetto a quello profuso sino ad oggi. Dovranno, ciascuna, fare preventivamente conoscenza reale con il proprio fabbisogno epidemiologico e, quindi, legiferare meglio, in termini di pianificazione dei loro interventi funzionali a determinare la migliore struttura organizzativa. Una attività sino ad oggi sottovalutata con tutti i danni che ne hanno fatto seguito
È la programmazione che non c'è mai stata ad avere, infatti, generato «il mostro» nelle aree più deboli del Paese. Lì si è consolidata una sanità «schizofrenica» più attenta alle inaugurazioni seriali di strutture, spesso inutili, che alla tutela della salute, in quanto tale funzionale alle realizzazioni intese ad attrarre esclusivamente consenso elettorale.
Da qui:
- la disseminazione di ospedali piccoli ed inutili, gioia dei politici locali, dei progettisti e degli appaltatori e dolori per chi era, invece, destinato ad usufruirne per bisogno;
- i territori montani accontentati da presidi via via divenuti di fortuna, perché al tempo utilizzati per nomine di primari di passaggio, poi promossi nei centro urbani più vivibili;
- un'assistenza territoriale incivile, intendendo per tale l'abbandono vissuto dai tanti cittadini vessati da chi aveva l'obbligo di assicurare loro la salute nel quotidiano e non l'ha fatto, complici i management che non hanno preteso gli obblighi contrattuali da parte di chi doveva, solo perché garante, diretto o indiretto, di incetta di voti per la politica più «amica».
Dalla revisione della Costituzione in itinere l'occasione per correggere quegli errori che hanno reso diseguale e difforme nel Paese l'esigibilità del diritto alla salute. Non solo. Leggendo bene il testo, sottoposto allo scrutinio referendario, si arguisce un correttivo a quella mobilità passiva che ha fatto sì che le Regioni più forti si arricchissero con le povertà salutari di quelle più deboli.


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