Aziende e regioni

Rapporto Crea: la sanità tra equilibri istituzionali e sociali

di Federico Spandonaro (Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Presidente C.R.E.A. Sanità)

Conclusasi la parentesi referendaria, il cui esito ha lasciato la Sanità nell'alveo della legislazione concorrente, rimangono immutate le problematiche di rapporto fra Stato e Regioni e, principalmente, i problemi del Ssn.

Affrontarli è sempre più urgente: anche perché sarebbe stato ingenuo aspettarsi modifiche sostanziali nell'assetto della Sanità, persino nel caso di esito contrario del referendum; questo perché la legislazione in Sanità è “naturalmente concorrente”: programmazione e organizzazione (riservati alle Regioni) sono condizioni necessarie per la tutela della salute (riservata allo Stato) e viceversa.

Rimane quindi da definire la lista delle azioni prioritarie per il Ssn e individuare quale sia una governance (concorrente per natura) capace di realizzarle.

Sul tema dei problemi della Sanità, la diagnosi del Rapporto Sanità 2016 del C.R.E.A. Sanità è che il Ssn sia un successo in tema di Universalismo, ma in sostanza un fallimento in tema di Equità e anche di Globalità nella risposta.

Per esigenze di spazio, in questo contributo ci concentriamo solo sulle disparità geografiche, che hanno fatto la parte del leone nella campagna referendaria. Non dimentichiamo, però, che le disparità fanno parte di un più ampio capitolo sull'equità, del quale ci limitiamo a ricordare l'aumento di quasi 20 punti percentuali nel numero di famiglie che spendono privatamente per la Sanità, le 300.000 famiglie impoverite per cause sanitarie, a cui di aggiungono 279.000 famiglie ad alto rischio di impoverimento e le 800.000 famiglie che sostengono spese catastrofiche: in sintesi il rischio di un raddoppio a breve delle situazioni di disagio economico per ragioni sanitarie.

E, su un altro fronte, aggiungiamo che solo il 60% dei cittadini italiani paga una imposta Irpef capace di coprire almeno la propria quota capitaria per la Sanità; una sparuta quota di cittadini, forse più onesti che ricchi, “mantiene” quindi un esercito di apparenti indigenti: un fenomeno intollerabile per l'equità del Ssn.

Sul secondo tema, quello della Globalità, il dato essenziale è che il “tutto a tutti” è ormai un ricordo lontano: la spesa privata è in crescita e pari ormai a oltre un terzo di quella pubblica.
Ma il fenomeno è rimosso e continua a essere lasciato senza una governance adeguata, con il risultato che le differenze di spesa privata (evidentemente legata al reddito disponibile) sono una delle cause principali di disparità regionale.

Siamo così tornati al tema regionale, sul quale osserviamo propedeuticamente che la pausa di riflessione imposta dall'esito referendario permetterà (forse) di evitare una frettolosa bocciatura del Federalismo che, un po' per verve “elettorale”, un po' per radicata convinzione politica, è più volte trasparsa nel dibattito pre-referendario.

Infatti, che le disparità siano colpa del federalismo è tutt'altro che evidente: per sostenerlo bisognerebbe provare che le differenze regionali sono aumentate dopo il 2001, quando il Rapporto Sanità 2016 del C.R.E.A. Sanità mostra esattamente il contrario: sono diminuiti i disavanzi finanziari (soprattutto nelle Regioni del Sud); la programmazione è diventata molto più efficace, tanto che, un dato per tutti, si è dimezzata la differenza nei tassi di ospedalizzazione; e sono persino migliorate le griglie degli adempimenti Lea nelle Regioni meridionali.

Il Federalismo è stato quindi capace di perseguire il risanamento finanziario, e semmai si può dire che però non ha ridotto significativamente le disparità regionali, ma affermare che ne sia la causa è una evidente mistificazione; le disparità ce le portiamo dietro immutate sin dalla nascita del Ssn (e, anzi, già da molto prima).

Se qualche segnale di un potenziale rischio di vedere riallargarsi le differenze regionali si intravede, esso dipende dal combinato disposto del rientro delle Regioni del Sud dal disavanzo, della loro minore capacità fiscale e dalla crisi finanziaria che dal 2009 ha ulteriormente ridotto la capacità delle famiglie più fragili di “complementare” la spesa pubblica: nessuno di questi fattori è di per sé imputabile al Federalismo.

La lezione che ne possiamo trarre è che il Federalismo si è dimostrato per ora migliore del precedente centralismo, pur rimanendo insufficiente per risolvere la questione meridionale; piuttosto, si configura un evidente trade-off fra politiche di risanamento finanziario e politiche equitative: la continua riduzione delle risorse disponibili rischia di far esplodere le disparità.

Il tema non è nuovo. Il risanamento finanziario è stato ottenuto con una contrazione senza pari della crescita della spesa pubblica: nell'ultimo decennio, è cresciuta un quarto (1,0% medio annuo contro 3,9%) rispetto a quanto registrato in Europa Occidentale. Ne segue che il gap di spesa pubblica pro-capite fra Italia e Paesi dell'Europa occidentale cresce a ritmi impressionanti (2,9 punti percentuali nel solo ultimo anno), risultando ormai pari al 36,0%.
Inutile quindi illudersi: il vero motivo di conflitto fra Stato e Regioni risiede nella misura del finanziamento dei Lea, ovvero della discrasia fra risorse disponibili e livelli di assistenza auspicati; che il sistema sanitario italiano sia già poco costoso è un dato di fatto: talmente evidente da porre qualche “problema economico”, sia in termini di carenza di investimenti (in prevenzione prima di tutto), sia di equità complessiva.

In termini di “terapie possibili”, le indicazioni del rapporto 2016 sono semplici: in primo luogo, non smettere di investire, in prevenzione e in tecnologie capaci di contrastare gli effetti dell'invecchiamento; questo richiede, fra l'altro, l'abolizione dei “tetti”, che generano le politiche a silos.

In secondo luogo creare condizioni per la creazione di capitale umano nel Sud: appare l'unica strada percorribile per risolvere la Questione Meridionale, che rimane il principale problema del Paese; e speriamo che il tema sia davvero entrato nell'agenda governativa, come fa sperare la recentissima istituzione di un dicastero ad hoc.

In terzo luogo, l'equilibrio nei rapporti fra Stato e Regioni implica una rivisitazione del processo decisionale, tale da aumentare l'autorevolezza delle indicazioni programmatorie: questo è possibile solo con un maggior coinvolgimento dei professionisti e dei pazienti nel processo decisionale (Hta); e questo implica, a sua volta, creare le condizioni per superare l'attuale frammentazione delle associazioni e delle Società scientifiche.

In quarto luogo, la questione Sanità complementare, non è più procrastinabile: non si può più rimuovere l'importanza degli extra Lea e degli “extra Ssn” nella tenuta complessiva del sistema di tutela della Salute, e neppure fingere di ignorare che senza una governance complessiva del settore, la crescita della spesa privata è destinata a far crescere ulteriormente le disparità regionali, che pure rimangono il principale ostacolo alla tenuta del Ssn.


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