Aziende e regioni

Campania, Calabria e i paradossi dei governatori-commissari

di Ettore Jorio (Università della Calabria)

In Campania e in Calabria, i commi 395 e 396 dell'art. 1 della legge di bilancio per il 2017 hanno generato illusioni per il Presidenti De Luca e Oliverio. Perplessità per tanti. Vediamo perché. Entrambi introducono modifiche ai criteri per la nomina dei commissari ad acta per la predisposizione, l'adozione o l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario. Un piano di rientro che le due Regioni (le uniche ad essere invase da un commissario non Governatore) sopportano da oltre sette anni senza traguardare un granché, in termini di risultati positivi per la collettività.
Nello specifico, il comma 395 ha escluso l'applicazione della disciplina di cui all'art. 1, comma 569, della legge n. 190/2014 alle Regioni commissariate ai sensi dell'art. 4, comma 2, del D.L. n. 159/2007. Coerentemente, il successivo comma 396 ha abrogato il comma 570 dell'art. 1 dell'anzidetta legge n. 190/2014, che, di contro, estendeva la disciplina prevista dal comma 569 della medesima legge anche ai commissariamenti disposti ai sensi dell'art. 4, comma 2, del D.L. n. 159/2007.
In buona sostanza, a decorrere dal corrente anno, non troverà più applicazione la pregressa disciplina, con riferimento al commissariamento delle Regioni per i casi di inadempimento delle misure previste dal piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario. Ovverosia quel disposto, contenuto nell'art. 1, comma 569, della legge di stabilità per 2015, che sanciva appositi requisiti per la nomina a commissario ad acta nelle Regioni soggette a piano di rientro sanitario. Siffatta norma prevedeva, infatti, che tale nomina fosse incompatibile con l'affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la Regione soggetta a commissariamento (ivi compresa la carica di Presidente della Regione). Non solo. Sanciva che il commissario dovesse possedere un curriculum attestante qualificate e comprovate professionalità ed esperienza di gestione sanitaria, anche in base ai risultati in precedenza conseguiti.
Così facendo, il legislatore nazionale - sollevando ogni genere di (sana) incompatibilità e abrogando (assurdamente) il requisito della professionalità specifica - ha rimesso in gioco i Governatori/Commissari. Con ciò ha fatto finta di non sapere che da un tale inconcepibile esercizio cumulativo di cariche fossero ripetutamente dipese le inefficienze rilevate in cinque regioni italiane, sia in termini di disavanzi caratteristici che di erogazione dei Lea.
Il problema è quello di comprendere fino a che punto sia (s)corretta la conclusione cui sia pervenuta la più recente legge di bilancio statale (n. 232/2016), sia sotto il profilo strettamente giuridico che della convenienza economica.

Quanto al primo esame, è appena il caso di rilevare come l'opzione strida con i principi costituzionali della ragionevolezza, della proporzionalità e del buon andamento della PA, di cui di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione. E ancora. Di come sia in contrasto con il corretto esercizio del potere sostitutivo del Governo di cui all'art. 120 della Carta.
Ciò in quanto:
- da una parte, con il provvedimento di commissariamento e nomina del commissario si sottrae - esclusivamente a seguito di formale diffida al Governatore inadempiente, a cura dell'Esecutivo nazionale - la gestione della sanità agli organi regionali per difetto di conseguire gli obiettivi istituzionali in materia di salute;
- dall'altra, con la novellata norma si riconsegnerebbe la sanità regionale in capo al Governatore, precedentemente ritenuto incapace (e pertanto diffidato e sostituito), e con essa riassegnati al medesimo i poteri relativi, precedentemente male esercitati tanto da avere prodotto danni irreparabili alle persone.
Eccezioni, queste, poste a supporto dell'impugnativa dell'assunto promosso dalla Regione Veneto avanti la Consulta.
Sul piano politico, dunque, una sanità trattata male, con particolare riferimento alle regioni in crisi da sempre, che non riescono a garantire alle loro collettività un granché in termini di servizi con un indebitamento da far paura, a fronte del quale le stesse non hanno colpa alcuna se non quella di avere, a suo tempo, delegato degli incapaci e degli irresponsabili.


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