Aziende e regioni

Vaccini, obbligare o educare?

di Antonio Clavenna e Maurizio Bonati (Dipartimento di Salute Pubblica – Irccs Mario Negri, Milano)

L'introduzione dell'obbligo di vaccinazione ai fini dell'iscrizione all'asilo nido e alla scuola materna, ha assunto un ruolo rilevante nel dibattito politico di alcune Regioni e Comuni italiani. Il provvedimento, già approvato dal Consiglio Regionale dell'Emilia Romagna e dal Comune di Trieste nel novembre dello scorso anno, sta per essere discusso dal Consiglio delle Regioni Toscana e Marche, dopo l'approvazione da parte della giunta. Il Consiglio Regionale della Lombardia ha recentemente approvato una mozione che invita la Giunta a stilare una legge o un regolamento che introduca l'obbligo, mentre alcuni consiglieri del Comune di Milano hanno attivato una discussione pubblica attorno a una proposta da presentare in Consiglio.

Sebbene il provvedimento di obbligatorietà miri ad aumentare le coperture vaccinali, e quindi sia istintivamente da plaudire, la sua attivazione presenta rilevanti criticità. Nel valutare gli interventi coercitivi, a fronte della necessità di tutelare sia la libertà di scelta che la salute dell'individuo e della comunità, in situazioni di pericolo può essere giustificato porre dei limiti alla libertà individuale al fine di salvaguardare l'intera comunità. Ma il calo delle coperture vaccinali, per quanto preoccupante, rappresenta un pericolo concreto e imminente per la salute di tutti? La scelta dell'obbligo per l'iscrizione al nido (e, in alcuni contesti geografici, alla scuola materna) pone un ulteriore quesito etico: è giustificabile che la società punisca il bambino con l'esclusione dalla comunità per una scelta non compiuta da lui, ma dai genitori? E infine: altri provvedimenti e iniziative atte ad aumentare le coperture vaccinali e ad invertire il trend negativo sono stati attivati e con quali risultati?

Una scelta così delicata non può prescindere dalla valutazione delle conoscenze disponibili. Le evidenze che derivano dalla letteratura scientifica sono controverse e non consentono di documentare la superiorità degli interventi coercitivi in ambito vaccinale, per esempio vs quelli di informazione attiva e mantenuta nel tempo. Nonostante la fiducia di molti politici e operatori sanitari, non è quindi scontato che l'obbligo vaccinale per l'iscrizione al nido produrrà un aumento delle coperture dell'intera popolazione e che queste si manterranno nel tempo.

Inoltre, l'intervento proposto potrà avere un impatto differente tra le Regioni e al loro interno. Non solo perché i dati più recenti (anno 2015) delle coperture vaccinali indicano ampie differenze geografiche, ma perché la possibilità di accedere agli asili nido (anche in termini di offerta) non è la stessa in tutte le Regioni e i Comuni italiani. I dati dell'Istat pubblicati nel novembre 2016 riguardanti l'anno scolastico 2013/2014 indicano in 360.314 i posti disponibili in Italia, con una copertura del 22,5% del potenziale bacino di utenza (bambini sotto i tre anni residenti in Italia), con enormi differenze geografiche inter e intra-regionali. In Emilia Romagna, Marche e Toscana la percentuale di utenti che frequentano il nido varia tra il 16 e 26% a livello regionale e tra il 12 e 34% a livello provinciale (dati Istat 2013). Quindi solo una piccola parte della popolazione target sarebbe raggiunta con il provvedimento. Comunque, prima di decidere è necessario conoscere le coperture vaccinali aggiornate, quanti sono i bambini con vaccinazioni posticipate rispetto a quanto previsto dai calendari vaccinali (fenomeno scarsamente indagato), quanti sono i bambini che frequentano il nido e quanti di questi non sono vaccinati. È stato fatto?

Le possibili ricadute negative da considerare
Il fenomeno definito a livello internazionale come vaccine hesitancy comprende realtà e attitudini diverse, che vanno dalla assoluta contrarietà ai vaccini, ai dubbi riguardanti l'efficacia e sicurezza di alcuni vaccini, ai timori sul numero e la tempistica delle vaccinazioni. I risultati di un recente studio condotto in Regione Veneto ha indicato che la metà dei genitori “antivaccinatori” lo sono non per convinzione, ma per “esitazione”, insicurezza, “ignoranza”; quindi una quota dei tassi di non copertura sarebbe potenzialmente recuperabile, senza coercizione, ma con l'educazione e l'informazione. Non fornire adeguate risposte ai genitori che nutrono dubbi e timori sui vaccini potrebbe spingere verso il rifiuto anche chi avrebbe scelto diversamente se ascoltato e rassicurato. Inoltre potrebbe ridurre la fiducia nelle istituzioni e negli operatori sanitari sia nella popolazione generale che tra i genitori che vaccineranno i figli non perché convinti, ma perché costretti. Non è da escludere che possano caratterizzarsi nidi privati per la forte presenza di bambini non vaccinati (“asili alternativi” per aggirare l'obbligo), che rappresenterebbero contesti ad alto rischio di attivare focolai di malattie infettive. Questi rischi sono stati adeguatamente valutati? Quali interventi sono previsti per ridurli o evitarli?

Riflettere anche sui vaccini e sulle strategie
Quali sarebbero le vaccinazioni interessate? Il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2017-2019 prevede che al compimento del 15° mese di vita i bambini che non presentano controindicazioni dovrebbero essere vaccinati contro 14 malattie, con una decina di inoculazioni in 7-8 sedute. Solo le vaccinazioni contro 4 delle 14 malattie sono obbligatorie per legge (difterite, tetano, poliomielite ed epatite B) e dunque potenzialmente oggetto del provvedimento di obbligatorietà, le altre sono raccomandate. Quindi il ricorso a vie legali da parte di singoli o coppie di genitori è atteso. A questo “rischio” è esposta più di altri la Regione Toscana qualora venisse approvata la legge che estende l'obbligo per l'iscrizione a tutti i vaccini presenti nel Piano Nazionale della Prevenzione Vaccinale.

Ma è possibile oggi vaccinarsi solo contro queste 4 malattie? Difficile, pressoché impossibile, perché le formulazioni di vaccini attualmente in commercio prevedono l'associazione con altri vaccini (per vaccinazioni facoltative) che consentono di ridurre il numero di iniezioni. L'ottenimento di speciali formulazioni di vaccini (p. es. solo i 4 obbligatori) rimanda ad altri iter da attivare con l'Agenzia del Farmaco (per l'immissione in commercio), con le Regioni (per i bandi d'acquisto), con i servizi vaccinali territoriali (per l'organizzazione delle sedute vaccinali). In una situazione già complessa dell'organizzazione dei servizi vaccinali caratterizzata (anche) dalla carenza di risorse, l'efficacia del provvedimento è quindi associata a una pletora di variabili di difficile controllo.
La scelta di imporre l'obbligo di legge per alcune vaccinazioni nacque in un contesto temporale, sociale ed epidemiologico differente da quello di oggi. La finalità di tutelare la salute di tutti i bambini che frequentano il nido non giustifica la decisione di escludere chi non è vaccinato contro il tetano (malattia non contagiosa) o contro l'epatite B (la probabilità di contagio tra bambini piccoli è estremamente rara).

Al contrario, i vaccini contro pertosse e morbillo, malattie ad alta contagiosità, non sono tra quelli “obbligatori”. Ne consegue che i provvedimenti già approvati in Emilia Romagna, Marche e a Trieste potrebbero essere solo parzialmente efficaci e insufficienti nel garantire la salute dei bambini che frequentano il nido.

I vaccini inseriti nel nuovo Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale sono efficaci e sicuri, ma la loro rilevanza nel produrre un'immunità per la comunità, non solo per il singolo, non è la stessa per tutti i vaccini, come non lo è la priorità per la salute pubblica. Nella scelta di introdurre l'obbligo a livello locale non è chiara quale sia la strategia complessiva e quali siano le priorità e gli obiettivi nel corso del tempo.

Il rischio è di semplificare eccessivamente una realtà complessa, che necessita di un approccio multimodale di informazione, formazione e responsabilizzazione di tutti (anche degli operatori sanitari che nella maggioranza non si vaccina o non si è vaccinato a suo tempo, come i recenti casi di morbillo documentano), di attenzione, di tempi e di spazi di ascolto e intervento. Raddoppiare il numero di sedute di vaccinazione per ciascun nuovo nato rimandando a ciascuna Regione le modalità di attuazione (Piano Nazionale Vaccini 2017-2019) non favorisce la riduzione delle disuguaglianze operative e di esito; non favorisce la partecipazione informata e consapevole dei cittadini. Certo una legge nazionale sull'obbligatorietà vaccinale semplificherebbe tutto, ma la Repubblica si basa sulla partecipazione dei cittadini e non sull'abnegazione dei sudditi.


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