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Allarme smog in Italia, Rapporto Mal’aria di Legambiente: «In 39 capoluoghi limiti superati»

di Ro. M.

Aria sempre più irrespirabile in 39 città italiane che nel 2017 hanno superato i livelli di polveri sottili (Pm10). La situazione più critica è in Pianura Padana e in generale nelle città del nord. Sul podio delle città più inquinate Torino con 112 sforamenti, Cremona con 105 e Alessandria con 103. A fotografare la situazione è Mal'aria 2018 – “L'Europa chiama, l'Italia risponde?”, il rapporto sull'inquinamento atmosferico nelle città italiane che Legambiente presenta oggi alla vigilia del vertice di Bruxelles sulla qualità dell'aria.

Un incontro, rivolto agli otto paesi in procedura di infrazione, tra cui c'è anche l'Italia, e fortemente voluto dalla Commissiona Europea che in questi giorni ha lanciato anche un ultimatum al nostro paese, chiedendo al ministro dell'ambiente Galletti aggiornamenti sulle misure pianificate dall'Italia in materia di inquinamento atmosferico. In mancanza di misure concrete ci sarà il rinvio alla Corte di giustizia europea con inevitabili e salatissime multe per l'Italia.

Dati allarmanti sullo smog, maglia nera al Nord
Dal report Mal'aria emerge che, nel 2017 in ben 39 capoluoghi di provincia italiani è stato superato, almeno in una stazione ufficiale di monitoraggio di tipo urbano, il limite annuale di 35 giorni per le polveri sottili con una media giornaliera superiore a 50 microgrammi/metro cubo.

Le prime posizioni della classifica sono tutte appannaggio delle città del nord (Frosinone è la prima del Centro/Sud, al nono posto), a causa delle condizioni climatiche che hanno riacutizzato l'emergenza nelle città dell'area del bacino padano.

Su 39 capoluoghi, ben cinque hanno addirittura oltrepassato la soglia di 100 giorni di smog oltre i limiti: Torino (stazione Grassi) guida la classifica con il record negativo di 112 giorni di livelli di inquinamento atmosferico illegali; Cremona (Fatebenefratelli) con 105; Alessandria (D'Annunzio) con 103; Padova (Mandria) con 102 e Pavia (Minerva) con 101 giorni. Ci sono andate molto vicina anche Asti (Baussano) con 98 giorni e Milano (Senato) con le sue 97 giornate oltre il limite. Seguono Venezia (Tagliamento) 94; Frosinone (Scalo) 93; Lodi (Vignati) e Vicenza (Italia) con 90.

Situazione critica specialmente nelle zone della pianura padana: in 31 dei 36 capoluoghi di provincia delle quattro regioni del nord (Piemonte Lombardia Veneto ed Emilia Romagna) è stato sforato il limite annuo giornaliero; in questi stessi Comuni l'85% delle centraline urbane ha rilevato concentrazioni oltre il consentito, a dimostrazione di un problema diffuso in tutta la città e non solo in determinate zone.

Non va certamente meglio nelle altre regioni: in Campania le situazioni più critiche sono state registrate nelle stazioni delle città di Caserta (De Amicis), Avellino (Alighieri) e Napoli (Ferrovia) che hanno superato il limite giornaliero di 50 microgrammi/metrocubo rispettivamente per 53, 49 e 43 volte. In Umbria situazione critica a Terni con 48 giorni di aria irrespirabile. In Friuli-Venezia Giulia la classifica di Mal'aria vede ai primi posti Pordenone (Centro) con 39 superamenti e Trieste (Mezzo mobile) con 37. Nelle Marche, invece, è Pesaro con 38 giorni oltre i limiti a posizionarsi tra le città peggiori.

Le ricette per cambiare aria
Gli interventi avviati finora in Italia sono frammentati e poco efficaci. «Come ribadiamo da anni non servono misure sporadiche, ma è urgente mettere in atto interventi strutturali e azioni ad hoc sia a livello nazionale che locale – dichiara Stefano Ciafani, direttore generale Legambiente –. Una sfida che la prossima legislatura deve assolutamente affrontare. Gli innumerevoli protocolli e accordi non devono riguardare solo le regioni padane, ma tutte le regioni e le città coinvolte da questa emergenza. Occorre ripartire da un diverso modo di pianificare gli interventi nelle aree urbane, con investimenti nella mobilità collettiva, partendo da quella per i pendolari, nella riconversione sostenibile dell'autotrazione e dell'industria, nella riqualificazione edilizia, nel riscaldamento coi sistemi innovativi e nel verde urbano. Serve potenziare anche il sistema dei controlli pubblici, con l'approvazione ancora mancante dei decreti attuativi della legge sulle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente da parte del Ministero».

Secondo Legambiente occorre «sostenere ed accelerare il processo di potenziamento del trasporto pubblico locale, per renderlo sempre più efficace e affidabile e la sua trasformazione verso un parco circolante completamente elettrico, come varato dal piano del comune di Milano da qui al 2030 o come cominciato a fare dall'azienda del trasporto pubblico torinese su alcune linee».

Sarebbe inoltre utile «limitare l'accesso nelle aree urbane in maniera stringente e costante ai veicoli più inquinanti, spingendosi, come fatto dal comune di Torino, al blocco dei mezzi euro 5 diesel e a Roma, dove si è arrivati recentemente a bloccare anche le Euro 6. Per incentivare questa trasformazione serve, però, potenziare le infrastrutture di ricarica dell'elettrico e, soprattutto, implementare nelle aree urbane infrastrutture per la mobilità ciclo-pedonale. Senza tralasciare la riqualificazione degli edifici pubblici e privati che dovrebbero riscaldare senza inquinare; il rafforzamento dei controlli sulle emissioni di auto, caldaie ed edifici; intervenire specificatamente sulle aree industriali e portuali. Da ultimo, ma non meno importante, ridisegnare strade, piazze e spazi pubblici delle città aumentando il verde urbano».

Le procedure di infrazione a carico dell’Italia
Il nostro Paese è tenuto a rispondere per quanto riguarda le 2 procedure aperte nei nostri confronti: la prima procedura di infrazione (n. 2014/2147 notificata l'11 luglio 2014), concernente la cattiva applicazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente, è dovuta al superamento dei valori limite di PM10 in Italia tra il 2008 ed il 2012 in 19 zone e agglomerati.
La seconda procedura di infrazione (n. 2015/2043 notificata il 29 maggio 2015), concernente la qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa, è dovuta al superamento dei valori limite di biossido di azoto (NO2) tra il 2012 e il 2014 in 15 zone e agglomerati. Da sottolineare che molti dei superamenti oggetto di tali procedure di infrazione interessano la maggior parte delle aree localizzate nelle regioni del Bacino Padano. Le procedure di infrazione avviate dalla Commissione Europea sono pervenute, nel corso degli anni, ad una fase avanzata del procedimento, definita “parere motivato”, come sancito dall'Art. 258 TFUE: di fatto è l'ultimo avvertimento agli stati membri in virtù del fatto che, come esplicitamente dichiarato dalla Commissione, “non hanno affrontato le ripetute violazioni dei limiti di inquinamento dell'aria per il biossido di azoto (NO2) che costituisce un grave rischio per la salute. La maggior parte delle emissioni provengono dal traffico stradale. E in particolare dai motori diesel”. Se gli Stati membri non agiranno concretamente per mettere in campo “misure idonee” a risolvere il problema, la Commissione potrà decidere di deferirli alla Corte di giustizia dell'Ue.

Le fonti dell’inquinamento
Secondo le rilevazioni dell’Ispra, i principali killer a livello nazionale sono gli ossidi di zolfo (SOx), gli ossidi di azoto (NOx), particolato atmosferico (PM10) e ammoniaca (NH3). E le fonti di inquinamento princpali cambiano a seconda della sostanza considerata. Per gli ossidi di azoto le fonti principali sono la produzione di energia e la trasformazione di combustibili (24%), i processi produttivi e la combustione nell'industria (24% e 22% rispettivamente) e altre sorgenti mobili e macchinari (18%), riferito al trasporto navale.

Per quanto riguarda gli ossidi di azoto, la fonte principale risulta essere il trasporto su strada con il 52% sul totale (di cui i motori diesel sono tra le cause principali); altre fonti significative sono altre sorgenti mobili e macchinari (17%) e la combustione non industriale (11%) ossia processi di combustione per produzione di calore non industriali.

Per il PM10, la combustione non industriale risulta essere la causa principale, con oltre il 60%, delle emissioni di particolato atmosferico, seguita a lunga distanza dal trasporto su strada che causa il 12% delle emissioni. Questo dato se è vero a scala nazionale sottostima però il contributo significativo dei trasporti è non considera il particolato secondario che costituisce un'ampia porzione delle polveri sottili totali come evidenziato di seguito.

Ultima, ma non per importanza, l'ammoniaca che viene emessa quasi esclusivamente dal comparto dell'agricoltura (96%), ed in maniera appena percettibile dal trattamento dei rifiuti e dal trasporto su strada (1,6% per entrambi). Essendo un componente basico del particolato secondario, il cui contributo ormai pesa oltre il 50% delle polveri sottili totali, diventa rilevante per capire anche il perché di molti superamenti in tessuti urbani meno congestionati dal traffico, come evidenziato nel proseguimento del paragrafo.

Ma le dinamiche di emissione ed i trend seguiti dai vari inquinanti cambiano a seconda delle caratteristiche e delle specificità del territorio. Il divario tra percentuale di emissione di PM10 da combustioni non industriali (63%) e trasporto su strada (12%) si assottiglia, arrivando ad invertirsi per città fortemente congestionate dal traffico come Milano in cui il PM10 è emesso per il 41% da trasporto su strada e per il 27% da combustioni non industriali (dati INEMAR Lombardia 2014). Viceversa, in città in cui la presenza di industrie è prevalente (come ad esempio Taranto ed Aosta), la principale fonte di emissioni è dovuta, presumibilmente, dalle industrie stesse.


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