Aziende e regioni

Rapporto Oasi Cergas-Bocconi/ Politiche del farmaco e impatto sulla spesa: gli effetti del decentramento nel Ssn con focus sulle forme alternative di distribuzione

di Patrizio Armeni, Arianna Bertolani, Francesco Costa, Monica Otto e Claudio Jommi (Cergas-Bocconi)

Il governo dell’assistenza farmaceutica, nonostante il presidio centrale dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), mantiene un elevato grado di decentramento, originatosi con la modifica del Titolo V della Costituzione operata nel 2001 e con l’approvazione della L. 405/01. La politica del farmaco in Italia negli ultimi 15 anni è stata caratterizzata da: (i) un orientamento al contenimento della spesa, prevalentemente perseguito attraverso la definizione di tetti sulla spesa farmaceutica, che hanno assunto una nuova veste a partire da gennaio 2017; (ii) una forte attenzione al controllo dei prezzi dei farmaci; (iii) un’applicazione via via più estesa di accordi di rimborso condizionato; (iv) numerose genericazioni, seppure arrivate in ritardo rispetto ad altri Paesi Europei, a cui si è affiancata, a partire dal 2001, l’applicazione del prezzo di riferimento; (v) una consistente variazione del mix della spesa, sempre più generata dagli acquisti di farmaci da parte di aziende sanitarie.

A livello regionale, allo scopo di governare la domanda e di tenere sotto controllo la spesa farmaceutica, negli ultimi 15 anni sono state attivate diverse politiche in funzione del contesto locale su cui andavano ad insistere. Tra le principali, hanno giocato un ruolo fondamentale le compartecipazioni alla spesa. L’incidenza delle compartecipazioni totali sulla spesa farmaceutica convenzionata lorda è più che raddoppiata negli ultimi anni, passando dal 6,6% del 2009 al 14,5% del 2016. Questo fenomeno è l’effetto combinato dell’andamento delle due tipologie di compartecipazioni alla spesa farmaceutica: il differenziale rispetto al prezzo di riferimento ha assunto nel tempo un peso crescente sulla spesa farmaceutica convenzionata lorda (dal 3,7% nel 2009 al 9,6% nel 2016), mentre il ticket fisso regionale è aumentato ad un tasso significativamente inferiore nello stesso periodo (dal 3% nel 2009 al 4,9% nel 2016) (Figura 1).
Un ulteriore strumento attivato dalle Regioni per controllare la spesa farmaceutica è l’utilizzo di prontuari terapeutici regionali (Ptr) o sub-regionali. Ad oggi, nella maggior parte delle regioni italiane è presente un Ptr con carattere vincolante, con l’eccezione di Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Veneto che hanno adottato prontuari aziendali.
Tra le diverse forme di contenimento della spesa farmaceutica vi è la diffusione di soluzioni di accentramento sovra-aziendale dei processi di acquisto dei farmaci implementate nelle varie Regioni in maniera eterogenea sin dagli inizi degli anni 2000 (Emilia Romagna e Toscana). Ad oggi, tutte le regioni italiane hanno attivato una struttura organizzativa deputata alla gestione centralizzata degli acquisti. Tali forme di approvvigionamento hanno agito sul contenimento dei livelli di spesa da un lato con la riduzione di prezzo generata dall’aumento del potere di acquisto e dall’altro mediante una riduzione delle procedure amministrative.
Inoltre, a partire dal 2001 (L. 405/01) le Regioni hanno la possibilità - al fine di coprire eventuali disavanzi accertati o stimati - di implementare forme di distribuzione dei farmaci alternative al canale tradizionale. Tali modalità di dispensazione dei farmaci sono tipiche del nostro contesto nazionale e si dividono in distribuzione diretta (Df) e distribuzione in nome e Per conto (Dpc) delle aziende sanitarie. Sia la Dd che la Dpc prevedono che particolari farmaci, che possono essere distribuiti sul territorio attraverso le farmacie aperte al pubblico, vengano acquistati (attraverso i sistemi di gara tipici della pubblica amministrazione) dalle aziende sanitarie e cioè a prezzo massimo di cessione Ssn a cui applicare le eventuali scontistiche tipiche degli acquisti di farmaci da parte delle aziende sanitarie pubbliche. In particolare, la Dd prevede che il farmaco, acquistato dalle aziende sanitarie, venga distribuito agli assistiti tramite le farmacie interne alle stesse strutture per una somministrazione da effettuarsi al domicilio del paziente. La Dpc, come la Dd, prevede che il farmaco venga acquistato dalle strutture sanitarie, ma la dispensazione all’assistito avvenga attraverso l’ausilio delle farmacie convenzionate remunerate attraverso il riconoscimento di un aggio per il servizio fornito. La spesa per farmaci di fascia A dispensati in Dd e Dpc ha visto negli ultimi cinque anni aumentare sensibilmente la sua incidenza sulla spesa farmaceutica pubblica totale, passando dal 17% del 2012 al 29,3% del 2016 (di cui il 64% Dd e il 36% Dpc nel 2012; il 73% Dd e il 27% Dpc nel 2016) (Figura 2).

Entrambe le forme alternative di distribuzione sono in grado di generare risparmi rispetto alla distribuzione in regime di convenzione. Tuttavia, con riferimento al mix tra Dd e Dpc, alcuni studi hanno riportato che la Dd è meno costosa della Dpc perché non prevede l’aggio alla filiera, implicitamente suggerendo che un modello basato unicamente sulla Dd sarebbe più efficiente rispetto ad un modello misto. Tali studi, tuttavia, non sono in grado di stimare l’impatto dei costi organizzativi della Dd, che crescono all’aumentare dei volumi e della complessità dell’azione erogativa che ne consegue. Gli studi ad oggi disponibili si sono limitati a valutare l’impatto delle forme alternative di distribuzione in singoli contesti regionali o locali, confrontando singolarmente la Dd o la Dpc con la dispensazione in regime di convenzione.
I ricercatori del Cergas Sda Bocconi hanno esteso l’indagine all’intero territorio nazionale valutando l’impatto delle forme alternative di distribuzione dei farmaci (e del loro mix) sulla spesa farmaceutica pubblica.
Tra i principali risultati dell’analisi emerge che una maggiore incidenza di entrambe le forme alternative di distribuzione sulla spesa farmaceutica pubblica totale è associata ad un minor livello di spesa totale mensile pro-capite (Figura 3). Per valutare l’impatto del mix tra Dd e Dpc sono stati considerati anche i costi organizzativi associati a tali modalità distributive. In particolare, per quanto riguarda la Dd sono stati considerati i costi i riportati in letteratura, mentre per la Dpc, è stato considerato l’aggio riconosciuto alla filiera, così come determinato negli accordi regionali. Mentre per la Dpc le fonti ufficiali non danno luogo ad ambiguità rilevanti, per quanto riguarda la Dd, la letteratura presenta un’elevata variabilità delle stime riguardanti i costi organizzativi. Per tale motivo, sono stati presi in considerazione tre scenari di costo organizzativo della Dd (mantenendo, per la Dpc, l’aggio alla filiera): (i) nessun costo; (ii) incidenza dei costi organizzativi sul totale della Dd pari al 4% (costo più basso riportato in letteratura); (iii) incidenza dei costi organizzativi sul totale della DD pari al 20% (costo più alto riportato in letteratura) (Figura 4).
Dall’analisi di simulazione di impatto emergono tre principali evidenze: (i) il mix associato al minor livello di spesa complessiva corrisponde al 70% di Dd e 30% di Dpc, nell’ipotesi di costi organizzativi della Dd pari al 20% (scenario meno conservativo); (ii) sistemi dove esistono solo Dd o solo Dpc sono associati a livelli di spesa più alti; (iii) la scelta di implementare esclusivamente la Dpc è associata ad una spesa maggiore rispetto alla scelta di implementare esclusivamente la Dd, a causa essenzialmente dei costi legati alla remunerazione della filiera, più alti dei costi organizzativi medi della Dd.

In conclusione, con riferimento alle politiche adottate dalle Regioni per governare l’assistenza farmaceutica, emerge un quadro di importante variabilità interregionale, ma si assiste ad un tendenziale allineamento verso l’adozione di tutte le azioni di governo. Per quanto riguarda l’analisi di impatto delle forme alternative di distribuzione dei farmaci è emerso il contributo delle stesse al contenimento della spesa farmaceutica pubblica. In particolare, le analisi suggeriscono che, al crescere dei costi organizzativi della Dd, un modello distributivo basato su entrambe le forme alternative di distribuzione potrebbe essere più efficiente di un modello completamente sbilanciato su una sola (es. solo Dd). Il mix ottimale, naturalmente, non deve essere identificato da una funzione di costo, poiché il centro della decisione deve essere il maggior beneficio per il paziente. Nondimeno, è sicuramente utile mettere in discussione l’assunzione, fino ad oggi mai realmente verificata, che la Dpc sia solo un costo aggiuntivo per il sistema: infatti, tenendo conto delle risorse organizzative da impiegare per la Dd, una presenza bilanciata della Dpc può anche essere associata a minori costi.


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