Aziende e regioni

Gioco d'azzardo, perché la legge pugliese è da cambiare

di Stefano Palmisano*

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“La lotta contro la criminalità mediante l'assoggettamento a controllo degli operatori attivi in tale settore e l'incanalamento delle attività di gioco d'azzardo entro i circuiti così controllati” costituisce obiettivo “idoneo a giustificare restrizioni alle libertà fondamentali nel settore dei giochi d'azzardo”. Così la Corte di Giustizia dell’Unione Europea in una delle sue più rilevanti sentenze in materia di giochi e scommesse: la cosiddetta “Costa – Cifone” (CGUE - Sez. IV, Sent., 16-02-2012, n. 72/10). In quell’occasione, i giudici europei erano chiamati a giudicare sostanzialmente della legittimità dell’ordinamento concessorio italiano in questo campo.

Pur affermando che il nostro sistema integra una compressione dei principi comunitari in materia di diritto di stabilimento e libertà di prestazione dei servizi, la Corte sita in Lussemburgo non poté non riconoscere che la finalità di arginare la penetrazione della criminalità organizzata in un mercato ghiotto come quello dei giochi e delle scommesse è ragione più che valida per giustificare quelle stesse “restrizioni”. Dunque, l’ordinamento concessorio come barriera di protezione della legalità del mercato dei giochi e delle scommesse: in quanto tale, del tutto legittimo anche alla stregua della normativa comunitaria. Anzi, necessario. Ne consegue che, prima di ipotizzare qualsiasi intervento normativo in questo settore, qualunque legislatore sensibile al principio di legalità e consapevole della situazione di strutturale “precarietà” in cui questo versa in questo paese dovrebbe tenere bene a mente le parole della CGUE. Specie a latitudini dove il rischio di infiltrazioni mafiose non è proprio teorico, per dirla con un eufemismo.

Nel dicembre 2013, venne approvata la legge della regione Puglia contro il gioco di azzardo patologico, la n. 43. Come primo, più sostanziale, strumento di quell’obiettivo, essa previde il cosiddetto “distanziometro”: le attività commerciali che operano in materia di giochi e scommesse non possono essere collocate ad una distanza inferiore ai 500 metri dai cosiddetti “punti sensibili” (luoghi di culto, impianti sportivi ecc…).

L’efficacia di quello strumento è tutta da dimostrare. E l’onere della prova dovrebbe gravare su chi lo ha ideato o anche solo adottato. Non è difficile ipotizzare che, nell’epoca in cui il gioco è anche e soprattutto on line – ossia, quello del “non luogo” - e i bambini vengono allevati a latte e smartphone, quella sarebbe probabilmente una probatio diabolica. A tacer d’altro.

E’ così oggi, ma era così anche 5 anni fa. Sarebbe stato, quindi, un ottimo motivo perché un legislatore minimamente avveduto si ponesse il problema all’epoca, prima di legiferare.
Fra meno di due mesi, quella legge dovrebbe entrare in vigore anche per gli esercizi già esistenti al dicembre 2013.

Le conseguenze principali potrebbero essere quelle di un sostanziale smantellamento della rete dei concessionari, ossia del mercato legale dei giochi e delle scommesse. Chiunque può dedurre che fine farebbe la nota barriera alla penetrazione dei capitali mafiosi in questo settore.

Così come chiunque può immaginare gli effetti sulla lotta al gioco patologico d’azzardo di un mercato dei giochi e delle scommesse sostanzialmente nelle mani di soggetti più “difficilmente controllabili”, per così dire, dalle autorità pubbliche rispetto ai concessionari di stato. Non è esercizio di allarmismo gratuito. A meno che non si vogliano ritenere allarmisti anche espressioni apicali delle Procure della Repubblica che vantano esperienza di lungo corso in quest’ambito e che non si peritano di esprimere in convegni pubblici queste stesse valutazioni.

La legge 43 del 2013, nelle sue parti cruciali, avrebbe meritato una base scientifica un po’ più solida di quella che la sostiene. Si può rimediare: le evidenze che non sono state raccolte, i dati che non sono stati analizzati, gli studi che non sono stati effettuati possono essere realizzati oggi. Per fare questo, però, bisogna fermare prima le macchine: quella legge non può entrare in vigore così com’è. Dopo sarebbe troppo tardi. E’ una questione di legalità, ma anche di salute pubblica. Il rimedio è possibile. E, nelle questioni di legalità e di salute pubblica, i rimedi possibili sono rimedi doverosi.

*Avvocato


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