Aziende e regioni

Partecipazione civica in sanità, Italia ai primordi. Serve un Patto per implementare le politiche e ridurre le disparità

di Tonino Aceti *

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24 Esclusivo per Sanità24

«L'attuazione del Servizio sanitario nazionale compete allo Stato, alle Regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini». Questo l’incipit della Legge 833/1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale, che da una parte consegna ai cittadini il “diritto-potere” di partecipare all’attuazione del Servizio sanitario pubblico, dall’altra assegna alle Istituzioni nazionali, regionali e locali il relativo dovere di garantirne e facilitarne l’attuazione e la promozione.
Questo principio è stato successivamente e ripetutamente ripreso e ampliato all’interno di molteplici norme, a partire da quelle di rango costituzionale come l’art. 118 ultimo comma, passando per quelle di grado ordinario. Ciò nonostante, ancora oggi, a 40 anni esatti dall’istituzione del Ssn, possiamo affermare che la partecipazione dei cittadini in sanità è ancora una delle grandi “incompiute“ del Servizio sanitario pubblico.
Non solo. È una “partecipazione diseguale”, che non garantisce pari opportunità per i cittadini di essere attori del ciclo delle politiche sanitarie pubbliche. Ad esempio riguardo alle politiche farmaceutiche pubbliche, diversamente dall’Italia, il direttore esecutivo dell’Agenzia europea per i Medicinali (Ema), cioè l’analogo del nostro Direttore generale dell’Aifa, è nominato anche dalle organizzazioni civiche. Il Management Board, secondo quanto previsto dal Regolamento dell’Ema, ha tra le sue competenze la nomina del Direttore esecutivo, l’adozione di programmi di lavoro annuali e pluriennali e altro ancora. Viene inoltre consultato sulla composizione delle Commissioni dell'Agenzia, che prevedono quasi sempre la partecipazione dei rappresentanti delle associazioni di cittadini e pazienti. Però lo stesso Management Board è composto oltre che dai rappresentanti delle istituzioni europee, anche da quattro esponenti della società civile: due rappresentanti delle organizzazioni di cittadini-pazienti, uno delle organizzazioni dei medici e uno dei veterinari. I quattro membri della sono nominati dal Consiglio dell'Unione europea, previa consultazione del Parlamento europeo, sulla base di un elenco stilato dalla Commissione a seguito della valutazione delle relative manifestazioni d'interesse presentate. Anche il Comitato per le terapie avanzate dell’Ema che ha la responsabilità di valutare la qualità, sicurezza ed efficacia dei prodotti medicinali per le terapie avanzate, vede al suo interno la partecipazione dei rappresentanti delle organizzazioni della società civile.
E ancora Canada, Australia e Inghilterra, solo per fare alcuni esempi, prevedono meccanismi tesi a valorizzare il punto di vista del paziente garantendone il coinvolgimento nei processi decisionali.
Tutto questo purtroppo ancora non accade in Italia, guardando l’attuale modello dell’Agenzia Italiana del Farmaco, e non è sufficiente neanche il richiamo del recente documento del Ministero della Salute sulla nuova governance del farmaco, ad una generica volontà di costituire un tavolo permanente di consultazione con le Associazioni di cittadini e pazienti per favorire l’inclusione delle loro istanze.
Guardando invece alle nostre Regioni, alle disuguaglianze che da sempre caratterizzano accesso, qualità, sicurezza e innovazione dell’assistenza sanitaria, si aggiungono iniquità e disuguaglianze anche rispetto alla partecipazione e al coinvolgimento dei cittadini nel ciclo delle politiche sanitarie pubbliche. È quanto emerge dalla recente indagine che ha coinvolto 6 Regioni e analizzato 85 pratiche partecipative, realizzata da Cittadinanzattiva all’interno del più ampio programma “consultazione sulla partecipazione civica in sanità”, che vedrà il suo culmine in una due giorni di confronto, il 30 e 31 gennaio a Roma, nella quale 100 esponenti di primissimo livello si confronteranno sul tema e stileranno un documento di riferimento sulla partecipazione civica in sanità, in Italia. Un programma di lavoro realizzato con il sostegno non condizionante di Novartis.
Solo alcune Regioni tra quelle coinvolte nella nostra rilevazione hanno prodotto norme sulla partecipazione dei cittadini nelle politiche sanitarie, e tra queste vi sono profonde differenze rispetto alle fasi nelle quali la stessa avviene.
La partecipazione in sanità è garantita sin dalla fase di definizione dell’agenda soltanto nella metà delle realtà regionali. Molto più diffusa è la partecipazione nella successiva fase della progettazione e programmazione strategica, volta ad indirizzare e orientare le politiche e i servizi territoriali. In questa fase, la partecipazione è pressoché prevista in tutte le regioni.
Porte semichiuse ai cittadini quando si entra nella fase decisionale, prevista formalmente in un terzo delle Regioni. Il rischio in questo caso è quello di promuovere una partecipazione formale, di facciata, anziché la partecipazione che vogliono i cittadini: quella sostanziale.
Spazi di partecipazione più ampi durante la fase di implementazione sono previsti in metà delle Regioni, mentre i cittadini possono accedere a quelle di controllo e valutazione nei due terzi delle Regioni.
A fronte di un quadro normativo dedicato, che dovrebbe favorire la partecipazione, si hanno invece pochi riscontri in termini di analisi e valutazioni quanto alla qualità ed effettività di ciò che ha prodotto (capacità di rendere conto).
Altre Regioni invece non hanno prodotto norme sulla partecipazione, e in questi casi gli scenari che potrebbero verificarsi possono essere almeno due. Anzitutto possono realizzarsi in pratica forme partecipative più o meno virtuose. In secondo luogo si può correre il rischio di una partecipazione che non attiene alla dimensione di un diritto da garantire in modo trasparente a tutti, ma al contrario alla dimensione della “concessione” per alcuni sulla base di conoscenze, preferenze, simpatie anche politiche.
Gli spazi di partecipazione civica in sanità più strutturati si riscontrano ai livelli regionali e aziendali. Va inoltre sottolineato come la ridefinizione del perimetro dei territori delle Asl, che diventano sempre più grandi, contribuisca a “centralizzare” il momento della partecipazione, allontanandolo sempre di più dal livello delle comunità locali.
Analizzando il livello nazionale è possibile cogliere una evidente differenza tra politiche sanitarie e politiche sociali. In sanità il percorso di formazione degli atti più importanti dal punto di vista della programmazione, come poteva essere qualche anno fa il Piano sanitario nazionale, oggi il Patto per la Salute, non garantisce un coinvolgimento formalizzato e strutturato delle organizzazioni di cittadini e pazienti.
Al contrario, il “Programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità”, realizzato dall'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità (OND), che è presieduto dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, è anche composto da 40 membri effettivi e da un numero massimo di 10 invitati permanenti, in rappresentanza delle diverse amministrazioni pubbliche e del mondo dell'associazionismo rappresentativo delle persone con disabilità.
Esistono realtà nelle quali si prendono decisioni importantissime per la salute dei cittadini e del Servizio sanitario pubblico in cui andrebbero innestate quantità rilevanti di partecipazione civica, ad oggi del tutto assenti. È il caso del Comitato nazionale Lea che ha come compito quello di valutare la capacità delle Regioni di garantire l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, e che non prevede nella sua composizione la partecipazione dei rappresentanti delle organizzazioni civiche. Lo stesso discorso vale per la Commissione nazionale per l’aggiornamento dei Lea.
Infine uno dei luoghi più importanti nel quale si decidono le sorti dei diritti dei pazienti e del Ssn: la Conferenza delle Regioni. Una sede istituzionale fondamentale che risulta però molto indietro rispetto all’attuazione e promozione della partecipazione e del coinvolgimento delle organizzazioni civiche nelle scelte di politica sanitaria che adotta costantemente. Un elemento di criticità che deve essere sanato subito.
Il diritto dei cittadini alla partecipazione è ancora poco misurato dal Servizio sanitario nazionale, mentre dovrebbe essere un indicatore per la valutazione della qualità delle politiche sanitarie pubbliche a tutti i livelli.
Per tutte queste ragioni, mutuando l’esperienza del Patto per la Salute, si potrebbe lavorare ad un “Patto per la partecipazione civica in sanità”, da far sottoscrivere alle Istituzioni nazionali, regionali, locali e alle Organizzazioni di cittadini e pazienti, volto a garantire il coinvolgimento di cittadini e pazienti nella definizione, implementazione e valutazione delle politiche sanitarie pubbliche a livello nazionale, regionale e locale. Ciò potrebbe concorrere anche al superamento delle profonde disuguaglianze che caratterizzano, come abbiamo visto, il diritto alla partecipazione nel nostro Paese.

* coordinatore Tribunale per i diritti del malato - Cittadinanzattiva


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