Aziende e regioni

Anoressia, bulimia e altri Dca: troppi progetti sulla carta. E il codice lilla in Pronto soccorso è attivo solo al Gemelli di Roma

di Barbara Gobbi

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24 Esclusivo per Sanità24

Incidere sui "covi di induzione" alla patologia, che è una malattia psichiatrica da prevenire nelle sedi dove se ne crea l'embrione, innanzitutto, e prendere in carico i pazienti con un approccio multidisciplinare appropriato, da condurre nei setting adeguati e certificati e coinvolgendo professionisti formati ad hoc. Questo il messaggio che arriva dal focus organizzato al ministero della Salute in occasione della Giornata del fiocchetto lilla, che il 15 marzo di ogni anno riaccende i riflettori sui Disturbi del comportamento alimentare, in primis anoressia e bulimia nervose. Un fenomeno su cui molto l'Italia in questi anni ha fatto (Consensus conference e sinergia dicastero-regioni che ha portato alle linee d'indirizzo per la riabilitazione nutrizionale nei Dca), ma che sconta ancora un'impreparazione del Paese e un'estrema difformità, con una serie di best practice - a cominciare dall'Umbria - a cui tutta l'Italia guarda ma con un pesante ritardo anche nella mappatura. Tanto che le novità in campo per contrastare la disomogeneità sono essenzialmente due azioni centrali del Ccm (ministero Salute): l'avvio dell'Osservatorio epidemiologico nazionale, guidato da Umbria e Piemonte, che organizzeranno la raccolta dati per arrivare a una fotografia quanto più precisa possibile del fenomeno; poi, la mappatura dei centri affidata all'Istituto superiore di sanità. «Ad oggi - spiega infatti Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta e direttore della Rete disturbi comportamento alimentare Usl 1 dell'Umbria, docente all'Università Campus Bio-Medico di Roma e presidente della Siridap, Società italiana Riabilitazione disturbi del comportamento alimentare e del peso - ben la metà delle strutture formalmente attive non possiede i requisiti stabiliti dal ministero. Mentre soltanto il 15% della popolazione censita è arrivata ai servizi specializzati come prima stazione terapeutica. La maggior parte dei pazienti ha effettuato più di un trattamento, spesso non appropriato e aspecifico». Quattro le criticità rilevate da Dalla Ragione: i ricoveri salvavita e alcune residenze riabilitative spesso non hanno posti letto dedicati ai Dca; alcuni servizi non dispongono di una équipe multidisciplinare interna; difficoltà nel garantire un intervento integrato appropriato e la continuità delle cure; scarsa presenza di servizi che possono accogliere minori di 14 anni (le residenze riabilitative adeguate sono solo cinque).

Quel codice lilla che non c'è. Terza novità italiana è stata l'attivazione, a partire dal gennaio 2019, del codice lilla nei Pronto soccorso. Ma ad oggi solo il Policlinico Gemelli di Roma ha attivato un'esperienza significativa in questo senso. Qui il nodo formazione si fa sentire: servono corsi specifici per medici e infermieri che siano in grado di intercettare la patologia, attivando una consulenza psichiatrica per far scattare la presa in carico adeguata. Se non siamo all'anno zero, poco ci manca. Anche una Regione sulla carta "attiva" nei Dca, come la Lombardia, farà partire la formazione in Pronto soccorso soltanto, e ben che vada, nel 2020.

Formazione e territorio da mettere in moto. Intanto i lombardi guardano per il momento all'altra faccia della medaglia: quel territorio dove per medici di medicina generale e pediatri di libera scelta i corsi - affidati a formatori esperti - sarebbero dovuti partire già questo marzo. Se la formazione è uno dei nodi, l'altro è l'attivazione di una rete con caratteristiche multidisciplinari e capace di "trattenere" il paziente: oggi capita che le persone che si affidano ai servizi pubblici non raggiungano il 60% e spesso intraprendano percorsi mono disciplinari. Serve un monitoraggio clinico, con percorsi di cura che prevedano anche il ricovero in residenza - come ultima istanza, mentre per tamponare l'emergenza è qui che ci si è concentrati negli anni - sulla base di criteri che coinvolgano il team di cura in ogni fase dell'iter. E l'audit dev'essere continuo. In Emilia Romagna ad esempio ci sono team nutrizionali in ogni azienda, chiamati a interagire con i servizi psichiatrici. Lo stesso Pdta, di cui molto di parla, è un elemento importante ma implica, per essere davvero efficace, un cambio di rotta sia organizzativo che culturale. Gli specialisti, poi, devono condividere linguaggi e prassi comuni. Nel Lazio ci si sta lavorando, soprattutto nell'Asl Roma 1, che fa capo a 1,2 milioni di persone e dove la stima dei fabbisogni, esclusi i pazienti pediatrici, prevede 70 posti letto e 60 strutture residenziali. Negli anni molto si è fatto, ma ad oggi nel Lazio solo due strutture possiedono team multiprofessionali e nel passaggio dall'età pediatrica a quella adulta si apre una voragine in termine di continuità di cura. Per non parlare del fatto che, Roma a parte, il resto del territorio regionale è "scoperto". In Lombardia il quadro parrebbe appena più virtuoso: la mappatura - fatta però dagli stessi servizi interessati - racconta di 27 strutture ambulatoriali (mal distribuite). Ma i percorsi più intensivi ci sono solo nel 9% dei servizi che si sono dichiarati esperti. Due progetti sono in agenda: a Milano, il ricovero per acuti collegato con altre strutture che si occupano della patologia a livello di centro diurno; a Monza, un percorso di residenzialità aperta sempre a regia ospedaliera. Ma il condizionale è d'obbligo, perché ancora ben poco di tutto questo - rilevano gli esperti - si è già tramutato in realtà.


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