Aziende e regioni

Prestazioni detraibili: la manovra tassi solo le cure inutili

di Nino Cartabellotta *

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24 Esclusivo per Sanità24

La coperta estremamente corta che avvolge la finanza pubblica impone ai Governi di qualsiasi colore di recuperare più risorse possibili senza aumentare formalmente le imposte: ma una strategia per mettere comunque le mani nelle tasche dei cittadini è la riduzione delle tax expenditures, meglio note al contribuente come agevolazioni fiscali che, ovviamente, riguardano anche le spese sanitarie. Va in questa direzione la prima bozza della Legge di Bilancio 2020 che all’art. 70 prevede la rimodulazione degli oneri detraibili sulle spese sanitarie in base al reddito, con uno spartiacque fissato a 120.000 euro di reddito complessivo. I contribuenti sotto questa soglia manterrebbero le detrazioni fiscali correnti per le spese sanitarie, mentre le agevolazioni per i cosiddetti "super ricchi" verrebbero ridotte proporzionalmente in base al rapporto tra l’importo di 240.000 euro diminuito del reddito complessivo e 120.000. Ad esempio, un contribuente con un reddito di 150.000 euro avrebbe diritto al 75% dell’attuale detrazione, mentre uno con un reddito di 200.000 euro al 33% sino ad azzerarsi al raggiungimento del tetto di 240.000 euro.
Prima di dare il via libera a questa proposta Esecutivo e Parlamento farebbero tuttavia bene a porsi due domande. La prima, di natura finanziaria, riguarda la quota di risorse pubbliche potenzialmente recuperabile. La seconda relativa al metodo, ovvero se la rimodulazione delle detrazioni fiscali per le spese mediche in base al reddito complessivo sia, oltre che la soluzione più semplice, anche quella che massimizza il ritorno in termini di salute delle risorse pubbliche rimborsate al cittadino.
Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi prevede, per la parte eccedente una franchigia di € 129,11, una detrazione del 19% per le spese sanitarie relative alle spese mediche e di assistenza specifica, a quelle chirurgiche, per prestazioni specialistiche e per protesi dentarie e sanitarie in genere. Sono comprese le spese per i veicoli per i disabili, per l'acquisto di cani guida, le spese sanitarie per familiari non a carico relative alle patologie con diritto all’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria pubblica (malattie croniche e invalidanti e malattie rare) nel limite massimo di 6.197,48 euro annui e per disabili (per mezzi necessari all’accompagnamento, deambulazione, locomozione e sollevamento e per i sussidi tecnici e informativi che facilitano l’autosufficienza e l’integrazione, spese per le quali non si applica la franchigia).
Tra il 2008 e il 2017 le spese portate in detrazione dai contribuenti italiani sono aumentate da 11.951 milioni a 18.521,6 milioni (+55%), determinando un incremento della spesa fiscale da € 2.271 a € 3.519 milioni con un tasso medio annuo di crescita pari al 5%. Nel 2017 gli importi indicati nelle dichiarazioni fiscali (€ 19.862,7 milioni) risultano di poco superiori al 51% della spesa delle famiglie secondo Istat-Sha (€ 35.989 milioni). Sono escluse da questo computo sia le spese mediche per portatori di handicap (nel 2017 € 1.100,7 milioni pari ad una spesa fiscale di € 299,6 milioni) in quanto interamente deducibili dal reddito complessivo anche da chi percepisce l’assegno di accompagnamento, sia quelle sostenute per l’assistenza personale di soggetti non autosufficienti (nel 2017 € 240,4 milioni pari ad una spesa fiscale di € € 45,7 milioni). Infatti, dal 2016 è prevista la detrazione del 19% su un importo massimo di € 2.100 per i redditi che non superano € 40.000: tale detrazione riguarda le spese sostenute per gli addetti all’assistenza personale del contribuente o di uno o più familiari anche se non fiscalmente a carico.
Nell’anno fiscale 2017 la nicchia dei 300.000 cosiddetti “super ricchi” (0,7% dei contribuenti totali) ha portato in detrazione poco più di € 500 milioni, ovvero il 2,7% dell’ammontare totale delle detrazioni per spese sanitarie, corrispondente ad una tax expenditure di € 95,6 milioni. Applicando i criteri previsti dalla Legge di Bilancio 2020 sui dati 2017, l’entità di risorse potenzialmente recuperabili per lo Stato è di circa € 50 milioni che, stimando una crescita delle spese portate in detrazione pari al 5% annuo, potrebbero oscillare tra € 55 e € 60 milioni per il 2021.
Per rispondere alla seconda domanda, è evidente che nell’era della value-based healthcare gli stessi princìpi che dovrebbero regolare il finanziamento pubblico dei livelli essenziali di assistenza, dovrebbero guidare anche la detraibilità delle spese sanitarie. In altri termini, al contribuente bisognerebbe offrire la possibilità di detrarre solo le spese sostenute per prestazioni efficaci, limitando se non addirittura impedendo la detraibilità delle spese per prestazioni inutili. Inspiegabilmente invece i criteri di premialità del fisco oggi escludono alcune prestazioni non riconducibili a prescrizione medica (es. interventi preventivi o riabilitativi), mentre permettono la detrazione di prodotti omeopatici con relative visite dello specialista omeopata. In altre parole, l’elenco delle prestazioni sanitarie detraibili dovrebbe essere rivisto secondo princìpi di efficacia e costo-efficacia, perché si tratta sempre di denaro pubblico immesso nel "contenitore" della spesa pubblica per la salute.
Concretamente, la misura proposta in Legge di Bilancio permetterebbe di recuperare dalle tasche dei "super ricchi" più o meno la stessa cifra che si otterrebbe eliminando dall’elenco delle spese detraibili l’omeopatia, ovvero l’acqua fresca!

* Presidente Fondazione Gimbe


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