Aziende e regioni

Sanità del territorio, manca 1 miliardo. Le industrie: noi punite. Coscioni (Agenas): «Il 30% in più di costi». Le Regioni: «Usiamo fondi dell'edilizia».

di Marzio Bartoloni e Barbara Gobbi

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24 Esclusivo per Sanità24

I fondi di nuovo contati, con le spese Covid ancora non coperte, e poi i prezzi alle stelle che fanno lievitare di quasi i miliardo i costi per costruire case e ospedali di comunità, cuore della sanità territoriale prevista dal Pnrr (escluse le risorse necessarie per il personale). E infine le industrie che producono farmaci e dispositivi medici che tornano a essere strozzate da meccanismi diabolici come tetti di spesa e payback in barba a ogni discorso sulla «strategicità» della filiera. Dopo due anni di pandemia e una pioggia di fondi (oltre 11 miliardi in più) per combattere il Covid la Sanità si risveglia con i soliti abiti da Cenerentola. «Già oggi siamo sotto la media Ocse: se dovessimo allinearci servirebbero 12,5 miliardi», ricorda Nino Cartabellotta della Fondazione Gimbe che ha aperto il confronto con i protagonisti della Sanità all'Healthcare Summit del Sole 24 ore. Un intervento preceduto da Alberto De Negri, partner Kpmg, Head of Healthcare per l'Europa chelancia un Sos sul Pnrr: «Forse anche per i tempi compressi in cui è nato l'integrazione tra i tre assi innovazione dei servizi, costruzione di strutture fisiche e digitalizzazione dei processi appare limitata. La soluzione potrebbe quindi trovarsi in un approccio pragmatico che recuperi in corso d'opera la definizione dei tasselli che mancano, di organizzazione e processi». E proprio sulla messa a terra dei progetti per la Sanità territoriale del Pnrr preoccupa l'esplosione dei costi: «A livello spannometrico c'è un 3o% in più, che su 3 miliardi per l'edilizia tra case e ospedali di comunità vuol dire circa 9oo milioni», avverte Enrico Coscioni, presidente dell'Agenas. «Ma lo scopriremo presto - continua - e quando arriveremo alle gare si dovrà fare una scelta: o ridurre del 30% il numero di strutture da realizzare o recuperare i soldi per fare questa riforma così importante». Una soluzione pragmatica la offre Raffaele Donini coordinatore degli assessori alla Salute e assessore dell'Emilia: «Si potrebbero coprire questi costi in più impiegando le risorse non spese per l'edilizia sanitaria, circa 1o miliardi, sempre di investimenti si tratta e sarebbe a costo zero». Donini però chiede chiarezza sulle spese non coperte per il Covid che si aggirerebbero sui 3,8 miliardi: «Nessuna Regione deve andare in piano di rientro per coprirle. Si faccia un piano di ammortamento su più anni ma il riparto avvenga in base alle spese effettive di ogni Regione e non in base alla popolazione».
Chiedono una strategia a lungo termine le industrie del farmaco e del biomedicale. Farmindustria invita a superare il meccanismo dei tetti di spesa e a rendere più veloce l'accesso dei cittadini ai farmaci dopo la loro approvazione da parte dell'Ema: «I tetti sono nati 15 anni fa ma con il fabbisogno di oggi si genera un payback insostenibile per le aziende. Sarà 4 miliardi nei prossimi due anni a fronte di 3,1 miliardi sulla spesa convenzionata che rimangono non utilizzati. Si tratta di un meccanismo che rappresenta una tassa aggiuntiva, che penalizza la capacità di attrarre investimenti». D'accordissimo Massimiliano Boggetti presidente di Confindustria dispositivi medici con le sue 5mila imprese del biomedicale che rischiano di finire in ginocchio per una richiesta di 2 miliardi di payback arrivata proprio in questi giorni alle aziende: «Il payback va cancellato subito e non sembri una "manfrina" dell'industria. Qui si rischia che scompaia una filiera già colpita dagli effetti del definanziamento del passato alla Sanità. Tra l'altro se resta il payback si abbasserà il livello tecnologico dei dispositivi medici che curano gli italiani e quindi ci sarà un abbassamento della qualità delle cure». Fabio Torriglia, vicepresidente Egualia, lancia una proposta: «Al Presidente del Consiglio che sicuramente guarda al quadro complessivo più che ai dettagli direi che l'urgenza assoluta è la creazione di una regia di coordinamento della filiera del farmaco. È indispensabile un punto di riferimento nazionale che coinvolga Aifa, ministeri, Regioni e Industria in un unico tavolo di lavoro che si riunisca regolarmente per decidere le misure».
Chi dirige gli ospedali ha le idee chiare sul futuro: «Superiamo il tetto di spesa sul personale, finanziamo in modo adeguato il Ssn e impieghiamo anche i giovani medici laureati», avverte il presidente di Fiaso, Giovanni Migliore. Anche medici di famiglia e infermieri non hanno dubbi. Per Fiorenzo Corti, vice segretario Fimmg, «non è assolutamente pensabile che i medici di famiglia debbano andare a lavorare nelle case di comunità, ma c'è la necessità di utilizzare gli studi organizzati e le medicine di gruppo come case di comunità"spoke": questo per non perdere la diffusione sul territorio e la prossimità nei confronti dei cittadini». Mentre per Maurizio Zega, consigliere nazionale Fnopi: «Bisogna aprire una questione infermieristica lavorando sulla carenza dei 7omila infermieri e sulla formazione visto che dei 18600 posti al corso di laurea ne sono stati coperti 16mila. Come troveremo gli operatoti che ci servono se non rendiamo la professione più attrattiva?».


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