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Off label: disciplina italiana piena di zone d'ombra

di Luca Pani, direttore generale Agenzia italiana del farmaco

L'impiego off-label (o "fuori indicazione") dei farmaci costituisce una questione molto complessa sia dal punto di vista clinico che per le sue implicazioni regolatorie. Indica quei casi in cui il medico prescrive un farmaco al di fuori dell'indicazione terapeutica per cui lo stesso è stato studiato e approvato. È una pratica ampiamente diffusa, in particolare in ambito psichiatrico, oncologico e pediatrico. Se da un lato le prescrizioni off-label dei farmaci possono rappresentare un'opportunità di cura e contribuire a portare progressi nella conoscenza e nella terapia di alcune patologie, dall'altro è necessario un sempre costante monitoraggio per evitare di sottoporre i pazienti a potenziali rischi per la loro salute.

Si tratta, dunque, di una questione delicata che ha dirette implicazioni anche dal punto di vista etico: il medico, secondo "scienza e coscienza", può optare per l'impiego off-label di un farmaco, ma dovrebbe sempre fare riferimento a studi ed evidenze presenti nella letteratura scientifica, sotto la propria responsabilità, dopo aver informato adeguatamente il paziente e averne ottenuto un consenso molto ben informato.

I principali riferimenti normativi che disciplinano nel nostro Paese la prescrizione dei farmaci off-label sono la legge 648/1996 e la legge 94/1998. La legge 648/1996 consente di erogare a carico del Ssn, quando non vi è alternativa terapeutica valida, previo parere della Commissione consultiva tecnico-scientifica dell'Aifa, i medicinali innovativi in commercio in altri Stati ma non sul territorio nazionale, i medicinali non ancora autorizzati ma sottoposti a Sperimentazione clinica e, appunto, i medicinali da impiegare per una indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata. Per questi medicinali si richiede, oltre all'acquisizione del consenso informato, il rilevamento e la trasmissione dei dati di monitoraggio clinico, delle informazioni relative a sospensioni del trattamento e dei dati di spesa.

La legge 94/1998, cosiddetta "Legge Di Bella", prevede poi che in singoli casi il medico possa, sempre «sotto la propria e diretta responsabilità e previa informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso, impiegare il medicinale prodotto industrialmente per un'indicazione o via di somministrazione o una modalità di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata». Ciò può avvenire solo quando l'impiego proposto del farmaco sia documentato da lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale.

L'impiego off-label senza il supporto delle evidenze scientifiche sarebbe improprio ed è, quindi, assolutamente da evitare. Con la Legge Di Bella, però, i farmaci prescritti in off-label sono a totale carico del cittadino, mentre sono a carico dell'Azienda sanitaria in caso di ricovero ospedaliero.

Nonostante i diversi interventi del legislatore negli anni (ricordiamo anche le leggi Finanziarie del 2007 e del 2008, che hanno provato a scoraggiare l'uso sistematico dei farmaci al di fuori delle indicazioni autorizzate), l'Italia non dispone ancora di linee guida specifiche, che disciplinino l'utilizzo off-label, definiscano un piano di valutazione del rischio per il paziente e colmino quelle zone d'ombra che non permettono alle autorità regolatorie di risolvere le criticità del sistema.

Al momento non esiste un modo per obbligare un'azienda a sviluppare o registrare un farmaco per una determinata patologia. Quello che le istituzioni preposte alla tutela della salute del cittadino possono - e devono - fare è promuovere la ricerca indipendente e vigilare. Ma il problema che emerge rispetto agli usi off-label dei farmaci è rappresentato dal fatto che andrebbe previsto un adeguato strumento di monitoraggio, come a esempio appositi registri e schemi di monitoraggio intensivi, utili ad aumentare la misurabilità degli usi fuori dalle indicazioni registrate e, quindi, a fornire agli enti regolatori maggiori possibilità di intervento. Si dovrebbe consentire alle autorità competenti, come l'Aifa, di effettuare studi indipendenti per individuare, caratterizzare o quantificare i rischi per la sicurezza e misurare l'efficacia delle misure di gestione del rischio. Strumenti come questi renderebbero possibile un sistema di sorveglianza attiva e dunque un utile supporto al processo decisionale in materia di sicurezza e di profilo rischio-beneficio dei farmaci, anche nei casi degli impieghi off-label.