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Fecondazione assistita modello Rinascimento

di Donatella Lippi, Storia della Medicina, Università di Firenze

La Mater matuta, come la cosiddetta Venere di Willdendorf, simboli della capacità di essere madri. Asclepio, che nasce attraverso un taglio cesareo effettuato dallo stesso dio Apollo sul ventre della ninfa Coronide morente. Le Sabine, rapite, fissate nel marmo dal Giambologna. E, ancora, Marzia, moglie di Catone, da quest'ultimo ceduta, già incinta, all'amico Ortensio perché generasse dei figli: a lui, che aveva una moglie sterile.

Un dovere civico, quello di generare cittadini, nell'antica Roma, ricca e capace di mantenere i suoi figli.

Una impostazione influenzata dalla filosofia aristotelica pensava che la donna mettesse a disposizione la materia necessaria alla riproduzione, il mestruo, mentre il maschio avrebbe fornito ciò che elabora e dà forma a questa materia e la anima: è il pneuma contenuto nello sperma a indurre attivamente nella costituzione materiale del nascituro la forma, e dunque la sua specifica natura di vivente.

A lungo, la femmina, causa materiale, principio passivo della riproduzione, è stata considerata il ricettacolo del principio attivo, dispensato dal maschio...

Epigenismo e preformismo furono i due paradigmi di riferimento.
Generazione spontanea, panspermia, ovismo, animalculismo accendevano i dibattiti all'interno delle accademie scientifiche.
Dal concepimento di Danae alla storia di Borea, il mito sembrava avere già assimilato la possibilità, per la donna, di concepire senza il concorso dell'uomo.

Correva l'anno 1777, quando l'abate Lazzaro Spallanzani riferì una serie di esperimenti dedicati alla fecondazione artificiale, «quell'attitudine al nascere, che dall'arte viene comunicata alle semenze delle Piante col mezzo della polvere degli stami, e all'uova degli Animali col mezzo del liquore spermatico».

Se Marcello Malpighi aveva tentato questi esperimenti sulla farfalla e sul baco da seta, Spallanzani riuscì, nel 1779, a fecondare una barboncina, utilizzan<CW-13>do lo sperma di un cane, introdotto «mediante una sottile appuntata siringa», con «quel calore che è proprio de' cani, e di noi stessi, cioè il grado trentesimo del Termometro reaumuriano».

Il successo di questo esperimento spinse il ginevrino Charles Bonnet a riflettere sulle sue conseguenze, condividendo con lo stesso abate i suoi timori: «Vous tenez un fìl précieux... Je ne sais mème si ce que vous venez de découvrir n'aura pas dans l'espèce humaine des applications auquelles nous ne songeons point, et dont les suites ne seront pas légères».

Solo una decina d'anni dopo, l'inseminazione meccanica diventava una soluzione chirurgica al problema della sterilità, evitando sofferenza, infezione, mutilazioni o interventi potenzialmente mortali: il chirurgo inglese John Hunter riusciva, infatti, a fecondare una donna che non poteva avere figli, a causa della ipospadia del marito. Anche Hunter usò una siringa riscaldata.

Ma la storia della inseminazione artificiale era destinata a parlare Francese.
«Application sur l'espèce humaine des expériences faites par Spallanzani sur quelques animaux, relativement à la fécondation artificielle des germes, ou résultat d'une expérience qui prouve que l'on peut créer des enfants avec le concours des deux sexes mais sans leur approche»: questo opuscolo apparve, anonimo, nel 1803, a Parigi e venne unanimamente attribuito al medico Michel-Augustin Thouret, direttore dell'Ecole de santé.

Recuperando gli esperimenti di Spallanzani, veniva dato alle stampe il primo testo tecnico interamente dedicato a questa innovativa soluzione chirurgica.

In una Parigi sede di eccellenza della fisiologia, si cerca la tecnica più efficace e Louis Girault decide di insufflare il seme maschile direttamente nella cervice uterina, per garantire un minor percorso, senza rischiare di sprecarne: dopo aver trattato 12 pazienti con 27 insufflazioni, le evidenze indicavano che le inseminazioni meccaniche avevano successo anche sul genere umano.

Quelle esperienze che, per non offendere le "oreilles pudiques" (D. De Santis), i medici francesi non avevano ancora divulgato, vengono invece rese note nella seconda metà dell'Ottocento.
Stimolo a questa massiccia condivisione fu la dichiarazione trionfale, nel 1866, del ginecologo americano J. Marion Sims, che aveva riferito i successi ottenuti con le sue iniezioni intrauterine.

Ararcha, Betsey, Lucy: questi i nomi delle tre schiave su cui Sims, eletto successivamente presidente della American medical association, lui che inviò una cannula di Laminaria digitata per dilatare la ferita al piede di Garibaldi, dichiarò di aver condotto i suoi brutali esperimenti, per perfezionare la tecnica di riparazione delle fistole vescico-vaginali.
Sims, che aveva intuito che la sterilità non dipendeva soltanto dalla donna, ma poteva essere presente anche in uomini sessualmente attivi, usò una "impregnating syringe", per conservare lo sperma, manipolarlo e introdurlo nel modo più efficace.

E, di nuovo, in Francia: in Faiseur d'hommes, di Y. Rambaud e J.-L. Dubut de Laforest, edito nel 1884, per la prima volta si parla di fecondazione artificiale in un romanzo.
Il protagonista è un medico brillante, sostenitore di questa tecnica che, però, commette l'errore di innamorarsi della sua paziente.
Scrive Georges Barral nell'introduzione: Faiseurs d'hommes è «la recherche de l'inconnu pathologique dans l'espece humaine», dove il dr. Karl Knauss sta per il medico francese Joseph Gérard, la cui tesi, dal titolo Contribution à l'histoire de la fécondation artificielle, presentata davanti alla Académie de Médecine sotto la presidenza del ginecologo Charles Pajot, venne rifiutata.

Gérard portava una casistica di 518 casi di coppie sterili, trattate tra il 1875 e 1885, con il 75% di successi. Troppi: proprio Pajot aveva scritto che la fecondazione artificiale funzionava in 1 caso su 100.
Eppure, l'affermazione di Knauss «Au nom de la science, je déclare que tu seras père!...» era destinata a riverberarsi nelle pieghe della medicina e dell'antropologia.

Risale al 1887, infatti, la Nota sulla fecondazione artificiale nella donna dell'antropologo Paolo Mantegazza, autore anche dell'Igiene dell'amore (1878): né ragioni etiche, né motivazioni religiose impediscono, secondo Mantegazza, di fecondare «donne che sarebbero rimaste sterili altrimenti», ipotizzando il congelamento del seme maschile e la creazione di una banca per la sua conservazione: «Potrà anche darsi che un marito morto sui campi di battaglia possa fecondare sua moglie anche fatto cadavere, e avere dei figli legittimi anche dopo la di lui morte».

Fu proprio il crollo demografico e psicologico della Grande guerra ad aprire la strada alla fecondazione artificiale, destinata a diventare alternativa terapeutica diffusa.

Ma, una volta affrancata la riproduzione dal rapporto sessuale, la fecondazione poteva avvenire in forma eterologa anziché in forma omologa, con il rischio di derive eugenetiche, giuridiche e bioetiche...
«Che accade mai?», chiede Mefistofele a Wagner nel Faust di Goethe.
Alla sua risposta, «Si sta fabbricando un uomo», non può pensare altro che una coppia di amanti sia stata nascosta nel camino...
E Wagner: «Per noi, il modo antico di procreare è una sciocchezza... noi la materia umana con calma componiamo e in un lambicco saldiamo e accortamente distilliamo.. si compirà in silenzio allora l'opera».