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Riforma del titolo V: un Ssn a 21 corsie differenziate

di Alessandro Vergallo (presidente Nazionale Aaroi-Emac)

Il ddl di riforma costituzionale del Governo Renzi (Testo approvato dal Consiglio dei Ministri del 31 marzo 2014) lascia piuttosto perplessi, almeno per quanto riguarda il Ssn. A una prima lettura, i dubbi sui reali programmi di questo Governo per la Sanità non vengono certo dissolti: da una parte assistiamo a rassicurazioni su una sorta di "clausola di supremazia" dello Stato sulle Regioni, che consisterebbe nella possibilità di emanare "norme generali", dall'altra alle Regioni parrebbe riservata in via esclusiva non solo l'organizzazione dei Servizi, ma addirittura la formazione professionale degli Operatori Sanitari.


Al contrario, nessuna rassicurazione su molti interrogativi di pressante attualità:

- la supremazia ordinamentale dei contratti collettivi nazionali di lavoro, in progressivo abbandono a favore di trattative regionali e addirittura decentrate ormai fuori controllo, sarà recuperata o no?

- gli articolati contrattuali e le normative di legge nazionali, nonché le disposizioni europee, p. es. in tema di turni e orari di lavoro ma non solo, saranno finalmente rispettati o no?

- l'organizzazione del lavoro e la formazione di competenza regionale smetteranno di sconfinare, delegittimandoli, negli ambiti dei titoli di studio abilitanti all'esercizio professionale, che la legislazione nazionale conferisce e richiede obbligatoriamente per esercitare tutte le professioni sanitarie, mediche e non mediche, o no?

- i ruoli e le responsabilità di coloro i quali esercitano tali professioni saranno finalmente resi uniformi su tutto il Paese, nel pieno rispetto delle specifiche e rispettive competenze e funzioni, a norma di legge nazionale, o no?

- la formazione di medici laureati e poi specialisti sarà finalmente programmata coerentemente con le esigenze del Ssn o no?

- le assunzioni di personale medico smetteranno di essere rimesse a contratti atipici (p. es. contratti "ambulatoriali" Sumai applicati a Medici Anestesisti Rianimatori che effettuano invece "regolari" turni di lavoro in sala operatoria e in terapia intensiva) o no?

- le dotazioni strutturali degli enti erogatori di servizi sanitari risponderanno finalmente a requisiti minimi di qualità e di sicurezza, definiti a livello nazionale, o no?

- in tutti i suddetti ambiti, la riforma costituzionale di cui al ddl in questione obbliga lo Stato a intervenire fattivamente per "la tutela dell'unità giuridica della Repubblica" o no?

- si vuol mantenere un ruolo per il ministero della Salute, che non sia soltanto di facciata, o di parafulmine per altre Istituzioni, o Agenzie, o Concessionarie, o Succursali di varia gestione e competenza sanitaria, o ridotto a questuante al cospetto del Mef, o no?

In mancanza di risposte inequivocabilmente affermative agli interrogativi suddetti, e a molti altri analoghi, il timore che si ricava dalla nuova stesura dell'art. 117 è che con essa si favorisca in modo netto il decentramento regionale del Servizio sanitario nazionale.

In tal caso, ogni rassicurazione sul rafforzamento del ruolo dello Stato in Sanità altro non rappresenterebbe che un'operazione cosmetica.

Nel caso di una riforma in senso regionalista, inutile dire che il Ssn sarebbe "asfaltato" con un "rullo compressore", e ridotto ad alveo di un manto stradale a ventuno corsie, quelle di altrettanti Sistemi sanitari regionali a pedaggio differenziato, e con servizi autonomamente erogati di conseguenza.


Esattamente il contrario di quanto più volte, negli ultimi tempi, sollecitato dalle Organizzazioni sindacali mediche, più volte accusate di essere colpevoli di ostacolare le spinte al decentramento organizzativo, ampiamente propagandato da altre categorie.


Speriamo, tuttavia, che tutti questi timori siano ingiustificati: per provare che lo siano, per ora basterebbe che in base a questa riforma del Titolo V fosse possibile rispondere "sì" ai quesiti che abbiamo riproposto per l'ennesima volta.