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Fecondazione eterologa: figli del desiderio, troppi dilemmi

di Adriano Pessina, direttore del Centro di bioetica, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Pubblichiamo il commento non favorevole alla sentenza apparso su Il Sole-24 Ore Sanità n. 15-16/2014 subito dopo l'annuncio della decisione della Corte costituzionale del 9 aprile scorso.

In attesa di leggere con attenzione le motivazioni - a favore e contro - che hanno indotto, a maggioranza, i giudici della Corte costituzionale a emettere una sentenza che toglie il divieto alla fecondazione eterologa in caso di infertilità assoluta della coppia, si possono formulare alcune osservazioni.

In primo luogo è opportuno qualche chiarimento di stampo strettamente descrittivo. Con la fecondazione eterologa, o esogamica come meglio potrebbe essere definita, si ricorre di solito a un solo - cosiddetto - donatore di gameti, e perciò si presume che almeno uno degli aspiranti genitori possa contribuire alla costituzione del patrimonio genetico individuale del futuro figlio. Sorge però un problema. Se restiamo sul piano strettamente fattuale, se si utilizza un gamete femminile, la fecondazione eterologa finisce con l'intercettare la fattispecie della maternità surrogata. Infatti, in questo caso, la donna che riceve l'ovocita sarebbe gestante e partoriente, ma non generante, poiché il nascituro avrebbe il patrimonio genetico del padre e della "donatrice", ma non il proprio. Sebbene dal punto di vista giuridico la maternità sia definita facendo riferimento soltanto all'evento del parto, non si può ignorare che con l'introduzione della fecondazione extracorporea questa impostazione è inadeguata: infatti si può scindere la maternità in varie forme.

Ancora più simile alla maternità surrogata è il caso in cui si dovesse ricorrere sia al gamete femminile sia a quello maschile esterno alla coppia: ci troveremmo di fronte, infatti, alla gestazione e al parto di un neonato che sarebbe in realtà figlio genetico di due donatori. Non molto differente - dal punto di vista descrittivo - è quello che è capitato recentemente con lo scambio di embrioni avvenuto in un processo di procreazione medicalmente assistita: la donna che, con grande disagio esistenziale, sta portando a termine la gravidanza di due embrioni di un'altra coppia, sa anche che, stando alla cronaca, i "suoi" embrioni, trasferiti nel grembo di un'altra donna, sono stati abortiti spontaneamente.

Ciò che differenzia queste situazioni dalla maternità surrogata propriamente detta è il fatto che di solito il neonato viene, per così dire, restituito dalla madre gestante e partoriente ai genitori biologici, cosa che non avviene con l'uso di due gameti esterni alla coppia e che probabilmente non avverrà in quest'ultimo caso di cronaca, in quanto la legge identifica nella gestante, come dicevamo, la madre sociale. Ma, mentre per la legge 40 non sarebbe possibile un disconoscimento di paternità da parte del marito, il padre genetico potrebbe chiedere, invece, un riconoscimento dei due gemelli. Insomma, un quadro complicato, denso di implicazioni affettive e morali.

Queste analogie evidenziano come sia tutt'altro che semplice ammettere la legittimità della dissociazione tra maternità e paternità biologiche e quelle sociali. A fronte dell'attuale divieto della maternità surrogata, un'attenta normativa che intende legittimare giuridicamente l'eterologa non dovrebbe ignorare questi temi.

Sul piano etico va sgombrato il campo da un equivoco, che vorrebbe equiparare la fecondazione eterologa all'adozione. Quest'ultima è sempre moralmente e socialmente legittima perché in questa prassi trovano un giusto equilibrio il desiderio di genitorialità e il bisogno di educazione, affetto e di relazioni significative di un bambino che si trova in stato di abbandono. L'ideale - da tutelare anche giuridicamente - sarebbe quello di una piena coincidenza tra genitorialità biologica e sociale. Per questo è difficilmente giustificabile, sul piano etico, sociale e giuridico, la fecondazione eterologa: in essa si pone volontariamente, in nome di un desiderio di genitorialità che si trasforma in una pretesa - in una forma di dominio sul generato - una decisa frattura nella dimensione stessa della genitorialità, determinando così situazioni socialmente e psicologicamente destabilizzanti.

Non si può fingere, come qualcuno vorrebbe, che la maternità e la paternità genetica siano irrilevanti, per concentrare l'attenzione soltanto sulle dimensioni sociali, esistenziali e psicologiche della genitorialità. La salute del generato, infatti, dipende in buona parte anche dal suo patrimonio genetico e pertanto la dissociazione tra le diverse figure genitoriali presenta problemi concreti: la possibilità di conoscere i cosiddetti "donatori" di gameti (ovvero i genitori, stando all'uso ordinario del linguaggio) è rilevante non soltanto per gli aspetti esistenziali del generato, ma per conoscere la loro storia sanitaria. Come si evince sia dalla cronaca, sia dalla letteratura, e anche da un recente reality, dal significativo titolo Generation Cryo, dove si racconta la storia di una diciassettenne che si mette alla ricerca dei suoi quindici fratelli "per caso", cioè generati con il gamete dello stesso donatore, l'eterologa ha anche risvolti esistenziali e sociali che non possiamo sottovalutare. Il problema non è solo quello di accedere per motivi sanitari all'identità del donatore, ma di avere un reale controllo - praticamente impossibile - sull'uso dei gameti attualmente stoccati sia in varie "banche" sia di fatto proposti dai moltissimi centri di riproduzione extracorporea presenti in Europa.

Sebbene ci si trovi di fronte a un'estensione, non priva di equivoci, della cosiddetta salute riproduttiva - infatti nessuna forma di generazione extracorporea ripristina le funzionalità dei potenziali genitori, che resteranno comunque sterili o infertili - si ignorano le molteplici problematiche, da tempo sottolineate in campo psicologico e psicanalitico, del vissuto di chi accede all'eterologa, spesso sentita, a distanza di anni, come una sorta di tradimento del patto coniugale, né si prende in considerazione quello dei figli del desiderio, sbilanciati tra affetti presenti e senso di vuoto identitario. Quale diritto alla salute si viene allora a tutelare?