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Fecondazione eterologa: nessun vuoto normativo. Ora subito le linee guida

di Maria Paola Costantini, difensore delle coppiealla Corte costituzionale e referente nazionale per la Pma di Cittadinanzattiva

Pubblichiamo il commento pro-sentenza apparso su Il Sole-24 Ore Sanità n. 15-16/2014 subito dopo l'annuncio della decisione della Corte costituzionale del 9 aprile scorso.

Il 9 aprile 2014 la Corte costituzionale, dopo un lungo iter davanti ai Tribunali di Milano, Firenze e Catania iniziato nel 2010, ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa contenuto nella legge 40/2004. La Consulta già si era pronunciata sugli stessi casi nel 2012, invitando a un riesame alla luce di una pronuncia della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo, che pur rigettando la richiesta per le coppie austriache sull'assunto dell'autonomia (ampio margine di apprezzamento) degli Stati in materia, aveva al contempo richiamato la necessità che le legislazioni si adeguassero alla luce della evoluzione della società e della scienza.

È questo che ha fatto la nostra Corte costituzionale, verificando sui parametri della Costituzione italiana e su quelli dettati dalla Corte Edu, se l'eliminazione del divieto potesse determinare rischi e pericoli. In particolare, oggetto della decisione sono stati il rischio di mercificazione delle donne donatrici, la protezione del nascituro, la possibile creazione di figure plurigenitoriali. È evidente che in gioco ci sono profili legati alla concezione della famiglia, al diritto alla salute, al diritto di autodeterminazione della persona nelle scelte sulla propria esistenza.
Ma proprio in ordine a tali profili, la difesa delle coppie ha voluto richiamare che con la presenza di questo divieto, paradossalmente, il nostro ordinamento rischiava di sostenere il mercato degli ovociti, e quindi di mercificazione di donne e uomini di altri Paesi, e produceva un vuoto di tutela. Con la conseguenza di abbandonare di fatto le coppie italiane a un mercato estero, altrettanto rischioso e non rispettoso dei diritti sanciti dell'ordinamento, non tutelando la loro salute e quella dei loro figli stante la difficoltà di rintracciare i dati relativi ai nati, di incorrere in centri non competenti e qualificati, di essere in balìa di professionisti senza scrupoli.

È stata una "battaglia di civiltà", diretta anche a mettere in luce una situazione di illegalità diffusa: in Italia c'era un divieto, ma la norma veniva aggirata, con un disinteresse alla vicenda umana sottostante e con una indifferenza anche delle conseguenze morali oltre che giuridiche di una incentivazione del mercato dei gameti esistente.

Davanti a questi problemi si è chiesto che vi fosse la stessa protezione che il nostro ordinamento prevede per tutte le coppie e i loro figli, ai sensi dell'articolo 1 della legge 194/1978 che tutela la maternità responsabile e consapevole oltre che in virtù della normativa in ambito sanitario (il percorso nascita) nonché le stesse garanzie già previste dalla legge 40/2004 per le le coppie infertili, al fine di sostenere il progetto genitoriale. Tutta l'impostazione è stata fondata sui princìpi già esistenti in questa legge evidenziando che l'eliminazione non determinava alcun vuoto normativo e quindi alcune preoccupazioni erano assolutamente insussistenti. E lo sono tutt'ora rispetto alle preoccupazioni emerse dopo la pronuncia.

Già con la legge 40/2004 e con riferimento ad altre normative esistenti, sono chiari i "paletti" legati alla nuova possibilità di donazione dei gameti, che rimane riservata solo alle coppie, sposate o conviventi, entrambi viventi, affette da infertilità e sterilità, in età fertile. Quindi nessuna apertura per altri soggetti. La legge già disciplina il divieto di disconoscimento di paternità così come il fatto che non sussiste alcun legame giuridico con il donatore, mantenendo in tal modo l'unitarietà della famiglia. Nella legge è già previsto il divieto di qualsivoglia commercializzazione di gameti, con sanzioni penali e amministrative pesanti, cosicché la donazione dovrà essere assolutamente gratuita.

Infine, esiste ed è già applicata anche ai centri di Pma una disciplina puntuale in ordine alla donazione di organi, tessuti e cellule che garantisce la gratuità, l'anonimato dei donatori, le procedure di consenso informato, il divieto di scelta sull'organo e quindi anche sul gamete. Si tratta dei decreti legislativi 191/2007 e 16/2010, di recepimento di tre direttive europee, che sono stati ulteriormente rafforzati dal Documento della Conferenza Stato-Regioni del 15 marzo 2012 e obbligano i centri di Pma a seguire regole e procedure standard. I donatori e le donazioni sono inserite in un Registro a cui si potrà accedere in caso di necessità per rintracciare dati inerenti ai donatori, salvaguardando l'anonimato. Infine, i paventati rischi per lo sviluppo del bambino sono già stati sufficientemente studiati e considerati insussistenti dagli studi effettuati in altri Paesi. I bambini nati da eterologa sono sani, felici e uguali agli altri perché quello che conta è che siano in una famiglia stabile, che li protegga e segua il loro sviluppo.

In conclusione, oggi non serve una nuova legge, ma emanare subito linee guida con il supporto dell'Istituto superiore di sanità e il Centro nazionale trapianti - istituzionalmente già coinvolti in questo ambito - e con la collaborazione delle società scientifiche e delle organizzazioni civiche a tutela dei pazienti. La risposta però deve essere immediata perché altrimenti ricadremmo nello stesso errore del passato: lasciare il settore abbandonato con il rischio che soggetti non qualificati e incompetenti siano l'unico punto di riferimento per le coppie con promesse e illusioni, con costi esorbitanti e con nessuna garanzia.