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Patto per la salute, l'assetto federalista è tradito se non ci sono i nuovi Lea

di Federico Spandonaro, Università di Tor Vergata, presidente Crea Sanità

Non è certamente facile valutare e neppure riassumere i contenuti del nuovo Patto della salute che - a una prima lettura - appare come un complesso documento di indirizzo generale del Ssn di cui sfuggono i contenuti "concreti". Vale la pena iniziare cercando, quindi, di esplicitare le aspettative che, soggettivamente, avrei avuto rispetto a un Patto tra istituzioni centrali e regionali. Dato l'assetto federalista, mi sarei infatti sostanzialmente aspettato un accordo avente a oggetto cosa debbano garantire i servizi sanitari regionali a fronte di una data garanzia di finanziamento. Così tuttavia non è, visto che la revisione dei Lea (il livello minimo che è regionalmente obbligatorio garantire) è prevista solo successivamente.

Quindi le Regioni aderiscono a un Patto con cui si impegnano a continuare a garantire l'esistente con i Fondi previsti, in cambio di una serie di "promesse" di azioni da adottare: il rischio degli accordi che dipendono da azioni successive è, chiaramente, quello che si inneschi un inesauribile contenzioso da mancata o ritardata attuazione.
Sono molte le possibili chiavi interpretative, che spiegano i condizionamenti all'interno dei quali vede la luce il Patto. Eccone alcune:

- il Patto è in sostanza "senza soldi";

- l'assetto federalista è nuovamente in transizione;

- i costi standard sono a un punto fermo.

Sul primo punto è chiaro che "senza risorse" è difficile la revisione Lea. D'altra parte il finanziamento garantito cui concorre lo Stato copre a malapena l'inflazione fino al 2015 (+1,9%) e solo per il 2016, come d'uso in politica, si azzarda un maggiore ottimismo, che comunque si ferma al +3%: non si capisce dove siano le risorse per rendere possibile l'accesso alle tanto citate innovazioni, spesso citate nel Patto, non si capisce dove siano.

Sul secondo punto non è certamente casuale che il Patto si apre con un preambolo sulle future nuove regole del gioco federalista, che in funzione dell'auspicabile superamento della legislazione concorrente, rimangono pericolosamente in bilico tra il ritorno a una funzione legislativa regionale meramente residuale e la garanzia alle Regioni di avere potestà esclusiva sull'organizzazione socio-sanitaria. Nella sostanza l'assetto sembra quello ante riforma Costituzionale, ma è davvero questa la strada più opportuna per garantire l'uniformità dei Lea?

Sul terzo punto notiamo che l'evoluzione del sistema di applicazione dei costi standard ha portato lo strumento lontanissimo dai suoi obiettivi iniziali: riproduce complessivamente il finanziamento garantito, lasciando, però, sospese molte questioni. Come mai ormai solo quattro Regioni sono in equilibrio? È ragionevole che la quota di finanziamento che il metodo stima come efficiente, sia di gran lunga inferiore al finanziamento medio dei Paesi confrontabili con l'Italia?

Un elemento che vale la pena di evidenziare è che il forte richiamo all'uso dell'Hta sembra essere la ciambella principale a cui il sistema intende aggrapparsi per rendersi finanziariamente sostenibile. Credo (e spero) che non ci siano dubbi, sul fatto che un uso più istituzionalizzato e trasparente dell'Hta sia auspicabile, e quindi anche la partecipazione alle logiche di network europeo (ma attenzione a chiarire il concetto buttato lì in due righe dei presìdi Hta in ogni Regione). Sul tema però, la logica complessiva di applicazione continua ad apparire poco chiara.

È a esempio preoccupante l'idea che si possa fare un aggiornamento del Pfn solo "sulla base del criterio costo/beneficio e dell'efficacia terapeutica", dimenticando che il criterio è inapplicabile senza chiarire preventivamente il cosiddetto threshold di costo-efficacia e, almeno nel sistema italiano a budget fisso e preordinato, anche il budget impact. Per non essere troppo ingenui, l'idea implicita è probabilmente quella di rivedere il prezzo dei farmaci (in larga misura degli oncologici): operazione legittima ma delicata, che coinvolge aspetti distributivi non banali e dove il dibattito deve essere trasparente e esplicito.
Analogamente, ben venga che il criterio costo-efficacia valga anche per i dispositivi medici, ma perché sia cogente è necessario approntare un prontuario e un sistema di governance.

Ancora una nota (duplice) sulle logiche europee richiamate nel Patto; attenzione all'articolo che prevede (se lo interpreto correttamente) il superamento della Cnn: anche qui l'obiettivo è condivisibile, ma il vincolare la commercializzazione alla rimborsabilità è altra questione, con risvolti anche internazionali non banali. Ben vengano, infine, le norme tese a rendere operativo il recepimento della Direttiva 24 (transfrontaliere), ma se pensiamo che il problema si esaurisca in una migliore regolazione dei flussi dei "viaggi della speranza" siamo fuori strada. I contact point sono necessari, ma la condizione sufficiente per essere preparati agli effetti della Direttiva è definire una chiara ed efficace politica del Ssn sulla mobilità, prima di tutto in entrata.

Per chiudere mi sembra che il Patto abbia risvolti davvero importanti (a esempio il superamento dei presidenti Commissari) e altri più discutibili (a esempio una non chiara posizione sulle compartecipazioni e una scarsa incidenza sul versante della non autosufficienza), ma in conclusione vada, forse, letto anche per quello che «non dice». Per ora mi pare che l'essenza del Patto sia proprio la conferma sostanziale dell'attuale.