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Con il nuovo Patto per la salute rinasce la Clinical governance?

di Nino Cartabellotta (Presidente Fondazione Gimbe)

Dopo una gestazione superiore a quella dei pachidermi (oltre 650 giorni), ministero della Salute e Regioni e Province autonome - sotto l'occhio vigile del ministero dell'Economia e delle Finanze - hanno finalmente dato alla luce il Patto per la salute 2014-2016 che disegna le politiche sanitarie del prossimo triennio. Relativamente all'assistenza ospedaliera (articolo 3), il Patto «conviene sull'adozione del regolamento sugli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi», in attuazione del decreto Balduzzi. In altre parole, quella bozza che per oltre 18 mesi è rimasta parcheggiata in attesa di essere riesumata o gettata definitivamente alle ortiche viene inserita integralmente nel Patto per la salute.
Senza entrare nel merito degli aspetti relativi alla riorganizzazione dei posti letto, è indubbiamente degno di nota che la clinical governance, sopravvissuta ai ripetuti tentativi di mandarla in soffitta, torna a essere a pieno titolo lo strumento di riferimento per garantire qualità e sostenibilità dell'assistenza sanitaria, almeno in ambito ospedaliero.
Nell'incipit dell'allegato 1 si legge infatti che «i significativi cambiamenti registrati in questi anni in tema di assistenza sanitaria e in particolare di quella ospedaliera richiedono un sostanziale ammodernamento del Ssn, partendo da alcune tematiche prioritarie, come l'implementazione della Clinical governance [...]».
Ma è nella sezione 5, dedicata agli standard generali di qualità, che si concretizza un vero e proprio "rinascimento" del governo clinico: si legge, infatti, che «è necessario promuovere ed attivare standard organizzativi secondo il modello di Clinical governance, per dare attuazione al cambiamento complessivo del sistema sanitario e fornire strumenti per lo sviluppo delle capacità organizzative necessarie a erogare un servizio di assistenza di qualità, sostenibile, responsabile (accountability), centrato sui bisogni della persona» e che «le strutture ospedaliere declinano le dimensioni della clinical governance, secondo linee di indirizzo e profili organizzativi». In particolare, gli standard organizzativi per tutti i presìdi ospedalieri (di base, di I e II livello) sono costituiti dalla documentata e formalizzata presenza di sistemi o attività di:
Gestione del rischio clinico: dai sistemi di segnalazione di eventi avversi alle procedure di identificazione del paziente; dalla checklist operatoria alla scheda unica di terapia; dai sistemi di reporting delle infezioni alla sorveglianza microbiologica; dai protocolli per la profilassi antibiotica a quelli per il lavaggio delle mani.
Evidence-based medicine: dalla definizione all'implementazione di percorsi assistenziali secondo linee guida esistenti.
Health technology assessment: dall'utilizzo dei report Hta nazionali e internazionali alla partecipazione alle reti Hta coordinate dall'Agenas.
Valutazione e miglioramento continuo delle attività cliniche: dell'audit clinico alla misurazione della performance clinica, degli esiti e della qualità percepita.
Documentazione sanitaria, comunicazione, informazione e partecipazione del cittadino/paziente: dall'integrazione dei sistemi informativi alla trasmissione di informazioni gestionali e sanitarie; dall'informazione ai cittadini/pazienti al loro coinvolgimento attivo nel processo di cura
Formazione continua del personale: dalla rilevazione sistematica di fabbisogni formativi alla valutazione dell'efficacia dei programmi di formazione continua attuati.
Questo elenco non rappresenta affatto una novità: infatti era già stato proposto nel Piano sanitario 2011-2013, che aveva sapientemente introdotto l'approccio di sistema alla clinical governance «realizzata tramite l'integrazione di numerosi fattori tra di loro interconnessi e complementari, tra i quali vi sono la formazione continua, la gestione del rischio clinico, l'audit, la medicina basata sulle evidenze, le linee guida cliniche e i percorsi assistenziali, la gestione dei reclami e dei contenziosi, la comunicazione e gestione della documentazione, la ricerca e lo sviluppo, la valutazione degli esiti, la collaborazione multidisciplinare, il coinvolgimento dei pazienti, l'informazione corretta e trasparente e la gestione del personale». Inoltre, il Sistema di Formazione continua in medicina annovera tutti gli strumenti della clinical governance tra gli obiettivi di processo e di sistema - due dei tre pilastri che concorrono alla costruzione del dossier formativo di tutti i professionisti sanitari - definiti come «Attività e procedure idonee a promuovere il miglioramento della qualità, efficienza, efficacia, appropriatezza e sicurezza».

Rilevando la schizofrenica alternanza tra momenti di entusiasmo propositivo, sia legislativo che professionale, e lunghi periodi di assuefazione disinteressata nasce spontanea la domanda: per il nostro sistema sanitario la clinical governance è ancora viva?
Cercando una risposta a questo interrogativo torna alla mente Pinocchio impiccato dagli assassini, sulle cui sorti la fata dai capelli turchini interroga ben tre medici, il Corvo, la Civetta e il Grillo parlante: "Vorrei sapere da lor signori se questo disgraziato burattino sia vivo o morto!" Il Corvo pronunziò solennemente: "A mio credere il burattino è bell'e morto: ma se per disgrazia non fosse morto, allora sarebbe indizio sicuro che è sempre vivo!". "Mi spiace" - disse la Civetta - "dover contraddire il Corvo, mio illustre amico e collega: per me il burattino è sempre vivo; ma se per disgrazia non fosse vivo, allora sarebbe segno che è morto davvero". "E lei non dice nulla?" domandò la Fata al Grillo parlante. "Io dico che il medico prudente, quando non sa quello che dice, la miglior cosa che possa fare, è quella di stare zitto. Del resto quel burattino lì, non m'è fisionomia nuova: io lo conosco da un pezzo!".
A oltre 15 anni dalla sua nascita anche la fisionomia della clinical governance è ben nota a tutti, e se da un lato fa sempre tendenza, dall'altro incute giustificati timori perché pone i professionisti sanitari al centro del sistema, rivoluzionando una logica aziendalista troppo impegnata alla produzione di servizi e prestazioni sanitarie senza tenere conto della loro efficacia e appropriatezza. Ovviamente, la clinical governance impone al tempo stesso a tutti i professionisti sanitari sia si acquisire nuove competenze - non ancora previste dai programmi di formazione universitaria e specialistica - sia soprattutto di essere accountable in tutte le prescrizioni diagnostico-terapeutiche-assistenziali, rinunciando ad autonomie professionali e interessi corporativi oggi non più sostenibili.
Eh sì, per i numerosi detrattori sarebbe molto comodo fare fuori il Governo Clinico! Peccato che il Patto per la Salute - consapevolmente o meno - ha dichiarato che la clinical governance è viva e vegeta... proprio come il burattino di Collodi.