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Stabilità instabile senza spending

di Ettore Jorio

La prassi di tagliare la spesa negli enti locali per gonfiare altrove ha portato il Paese a raggiungere un debito pubblico di oltre 2.100 miliardi di euro. Occorre, quindi, comprimere energicamente, ovunque, la spesa corrente. Anche la sanità dovrà fare la sua parte garantendo un miliardo di risparmi. Il problema è quello di capire se e come sarà possibile al Ssn sopportare una simile dieta. Un interrogativo che va affrontato senza alcuna resistenza ideologica.

Che la sanità presenta delle sacche di spreco è innegabile. La spending review va portata a sistema e decisamente, non già limitata al taglio degli sprechi più evidenti, che sovrabbondano. Gli acquisti di beni e servizi diffusamente differenziati rappresentano il problema più evidente, che genera sprechi miliardari. Gli affidamenti dei lavori in un regime di costante prorogatio sono divenuti la regola, basti pensare che in una Ao calabrese quello delle pulizie è durato addirittura 12 anni. La stessa cosa capita con le cooperative che oramai gestiscono l'occupazione in barba ai concorsi che non si fanno.

Anche le politiche retributive del lavoro, in termini di concessione di premialità non sempre dovute e di straordinari inammissibili (spesso causati dagli eccessivi esoneri ex legge 104/92 che hanno creato in Italia un esercito di disabili) hanno contributo ad incrementare la spesa improduttiva.

La eccessiva proliferazione di "primariati" hanno alluvionato di spesa i bilanci di Asl e Ao. Stessa conseguenza ha avuto la diffusa abitudine di retribuire gli erogatori accreditati privati oltre i budget convenuti, anche durante i commissariamenti governativi.

Necessita dunque una seria rivisitazione del costo della salute, tanto da bonificarlo della parte "sprecona", incrementando la qualità delle prestazioni da rendere che, in alcune realtà, raggiungono un livello disumano, tale da generare una mobilità passiva miliardaria.

E' ovvio che tutto questo non basta. Per un sistema ottimale occorre la determinazione dei costi/fabbisogni standard, nei confronti dei quali è tuttavia da registrare un ritardo colpevole nel definirli.

Il federalismo fiscale potrebbe costituire la metodologia vincente, sempreché siano utilizzati i migliori correttivi per la determinazione dei fabbisogni standard regionali. Dovranno pesare al riguardo gli indici di deprivazione socio-economica, utili anche per programmare e realizzare una onesta perequazione infrastrutturale, indispensabile per far sì che vengano eliminati quei gap, soprattutto tecnologici, patiti da talune regioni costrette ad effettuare percorsi di accertamento diagnostico con tecnologie funzionanti "a manovella" rispetto ad altre che godono di quelle di ultima generazione. Insomma, ben venga il federalismo fiscale purché tutte le regioni siano messe in condizioni di parità, di correre partendo dallo stesso punto e di gareggiare con gli stessi mezzi.

Quanto all'organizzazione, necessiterà avere un coraggio da leoni solo che si voglia realizzare la reale sostenibilità del sistema e la concreta uniformità, pretesa dalla Costituzione, delle prestazioni dovute all'utenza. Per fare questo occorreranno due riforme: una culturale e una strutturale.

La prima. Quella utile a mettere al riparo il sistema salute dalla abitudine disumana consolidatasi ovunque e a correggere il comune nomenclatore, che ha fatto sì che si traducessero innaturalmente: a) gli utenti, destinatari istituzionali delle prestazioni del Ssn, in clienti; b) gli erogatori privati accreditati in sostenitori; c) le strutture pubbliche in serbatoi di voti, con operatori acritici al seguito; d) i medici, soprattutto quelli "di famiglia" nel ruolo di grandi elettori e, spesso, di candidati sicuri.

La seconda. Quella riguardante la indispensabile ristrutturazione dell'attuale aziendalismo. Questa potrebbe realizzarsi, alternativamente, percorrendo due ipotesi progettuali: a) agenzificando il Ssn, attraverso una agenzia nazionale e 21 agenzie regionali/provinciali (quest'ultime riferite a Trento e Bolzano) con ad esse preposti manager di alto profilo professionale selezionati mediante concorsi pubblici, destinati ad attuare la programmazione regionale socio-sanitaria; b) prevedendo, nel caso in cui non si voglia intervenire a modifica dell'attuale disciplina gestoria, una azienda unica regionale cui affidare i compiti oggi di competenza delle diverse Asl e Ao.

Una ricetta che potrebbe, complessivamente, portare a consistenti risparmi della spesa attraverso tagli "di precisione" e ad una ottimizzazione dei costi.

Riassumendo, il risultato è traguardabile a condizione che: 1) si realizzino le correzioni delle anomalie consolidate nel sistema, che "sporcano" i bilanci con spese inutili e clientelari; 2) si lavori per la necessaria riforma culturale che renda i cittadini autenticamente utenti e pretendenti di un diritto costituzionale reso uniformemente esigibile; 3) si faccia una riforma strutturale di sistema, nell'uno ovvero nell'altro modo, ma la si faccia velocemente. Da tutto questo potrà derivare un taglio complessivo di almeno 4/5 Mld di euro che potrebbero positivamente contribuire al bilancio della Repubblica e al miglioramento delle prestazioni erogabili alle collettività.