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I ginecologi non obiettori a congresso a Napoli

di Elis Viettone

Nel mondo le morti conseguenti a un aborto non sicuro sono state nel 2008 quasi 50mila. Le donne la cui salute è stata compromessa questa scelta 8 milioni e mezzo. Sembrano numeri lontani eppure anche in Italia, in nome dell'obiezione di coscienza, oggi il diritto all'interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) non è sempre garantito.
Secondo la relazione del ministero della Salute dello scorso 16 ottobre, fanno ricorso all'obiezione il 69,6 per cento di ginecologi e una percentuale intorno al 50 per cento tra anestesisti e personale ospedaliero. Gli specialisti che applicanocorrettamente la legge 194 per la tutela sociale della maternità e per l'aborto, di conseguenza sono sempre meno.
Per approfondire questi temi, i medici non obiettori si riuniscono oggi e domani 8 novembre, nel convegno organizzato da Laiga (Libera Associazione Italiana dei Ginecologi per l'Applicazione della legge 194) a Napoli, al palazzo dei Congressi della Stazione Marittima. L'obiettivo è quello di creare una federazione su scala nazionale tra i pochi operatori del settore che chiedono l'effettiva applicazione della legge, e la tutela, anche legale, dei non obiettori e delle donne.

La situazione In Italia. La denuncia dell'associazione per i diritti legati alla salute riproduttiva parte da alcuni dati allarmanti, presentati all'Ordine dei medici nel 2012. Nel Lazio il 91,3 per cento dei ginecologi ospedalieri ha posto l'obiezione di coscienza e in 3 province su 5 - Latina, Rieti e Viterbo – non è possibile l'aborto per motivi terapeutici. La situazione nel resto del Paese non è molto diversa.
Un'indagine del ministero della Salute, sempre del 2012, concludeva che su un totale di 3.551 ginecologi ospedalieri, quasi il 70 per cento, con picchi del 90 a Bolzano, in Molise e Basilicata, si appellava alla questione di coscienza. «Purtroppo noi operatori vediamo spesso come le donne, quando apprendono la drammatica notizia di una patologia fetale, migrano di ospedale in ospedale, di provincia in provincia, arrivando finalmente nel luogo dove è strutturato un medico non obiettore – spiega Silvana Agatone, presidente di Laiga e ginecologa all'ospedale Sandro Pertini di Roma - E sappiamo bene che talvolta arrivano fuori tempo massimo e sono costrette a espatriare». Le motivazioni per cui è sempre maggiore il personale che sceglie di appellarsi alla clausola di coscienza sono varie.
Gioca un ruolo importate l'idea coltivata da molti medici secondo cui per fare carriera è più conveniente non effettuare l'Ivg: ci si può dedicare maggiormente alla sala parto e alle nascite; inoltre le pazienti che hanno abortito difficilmente tornano dallo stesso ginecologo, per cercare di cancellare quel brutto ricordo.

La condanna dell'Europa. Neanchela condanna del marzo 201 4 da parte del Consiglio d'Europa, a cui Laiga aveva fatto ricorso insieme all'Ippfen (International Planned Parenthood Federation European Network), è servita a invertire questa tendenza. Il Comitato europeo dei diritti sociali ha stabilito, infatti, che l'obiezione di coscienza non può impedire la corretta applicazione della legge 194/1978, decretando che l'Italia viola i diritti delle donne che intendono interrompere la gravidanza, a causa dell'elevato e crescente numero di medici obiettori.
«Suona quasi beffardo che a più di 30 anni dall'approvazione della legge 194 si debba ancora combattere nelle istituzioni competenti per affermare un diritto definito costituzionalmente irrinunciabile - spiega l'avvocato Marilisa D'Amico, che ha seguito il ricorso dell'associazione - Mi auguro che al più presto vengano presi i provvedimenti per applicare la norma in tutte le strutture nazionali».

Qualcosa si muove. A seguito di questa sanzione, le cui implicazioni verranno rese note domani al convegno dai legali di Laiga, qualcosa sembra essersi mosso. «Nell'ultima relazione che il ministro Lorenzin ha presentato al parlamento sull'andamento annuale inerente l'attuazione della legge194, c'è stato un cambio di marcia – spiega soddisfatta la presidente di Laiga – e invece di studiare l'offerta delle strutture ospedaliere, si è passati al concetto di bisogni del territorio. Si sono così accorti che le strutture con reparto di ostetricia e ginecologia sono 630, mentre quelle che effettuano le Ivg sono 403, il 64%. Alcune zone sono totalmente scoperte anche se sappiamo che l'articolo 9 stabilisce che tutti gli ospedali devono assicurare questo servizio».
Il caso italiano comunque non è isolato. Anche negli altri Paesi europei sta soffiando una ventata antiabortista: «Credo che in molti governi stiano avanzando schieramenti politici che mirano a compiacere le autorità religiose – conclude Agatone – come dimostrato anche nel 2013 dalla bocciatura da parte del Parlamento, per soli 7 voti, del rapporto dell'eurodeputata portoghese socialista, Edite Estrela, su "Salute e diritti sessuali e riproduttivi"».