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Interventi «a cuore aperto»: tecnologie innovative, spese efficienti

di Marco Ranucci, direttore delle ricerche cliniche, dipartimento di Anestesia e Terapia intensiva cardiovascolare, Irccs Policlinico S.Donato

Macchine cuore-polmone, ossigenatori, sistemi di autotrasfusione ci consentono di realizzare gli interventi «a cuore aperto». Mentre il cuore è fermo, i polmoni non ventilano, la temperatura corporea viene abbassata e i chirurghi hanno campo libero per operare, queste tecnologie, affidate agli anestesisti rianimatori e ai perfusionisti, garantiscono l'ossigenazione dei vari organi, cervello e reni in primis. I circuiti per la circolazione extracorporea in uso negli anni ‘70 e nei primi anni ‘80 erano estremamente invasivi, comportavano una percentuale significativa di mortalità intraoperatoria e di morbilità postoperatorie. La situazione migliora dalla seconda metà degli anni '80, con l'avvento delle fibre cave e dei primi ossigenatori a doppia camera. Prestazioni crescenti e miglioramento dei materiali continuano ancora oggi: in termini di efficacia dello scambio gassoso, tempi ridotti, e riduzione del volume di priming, oggi personalizzabile e modulabile per ciascun intervento e ciascun paziente, dagli adulti di qualsiasi peso, ai neonati.

Primato italiano.
In un settore, peraltro, in cui il made in Italy detiene una leadership mondiale, sia per quanto riguarda la miniaturizzazione dei circuiti, sia nel monitoraggio dell'ossigenazione. Il raggio d'azione di queste tecnologie continua a cambiare, con la perdita di certe aree d'utilizzo e la conquista di nuove. Con l'avvento delle tecniche percutanee molte patologie coronariche si risolvono senza interventi a cuore aperto, così come l'impianto transcatetere della valvola aortica (Tavi) o la plastica percutanea della valvola mitralica riducono l'impiego della circolazione extracorporea.
D'altro canto, le tecnologie di ultima generazione consentono l'estensione della circolazione extracorporea a pazienti sempre più fragili, anziani, o molto piccoli. Gli interventi chirurgici "tradizionali" con circolazione extracorporea continuano ad essere spesso l'unica opzione percorribile ed è oramai dimostrata la loro efficacia e la durata dei risultati nel tempo se messi a confronto con TAVI, stenting, angioplastica e chirurgia a cuore battente. Non a caso, le evidenze scientifiche dimostrano una superiorità delle tecniche di impianto valvolare percutaneo solo nei pazienti "inoperabili", e un'equivalenza nei pazienti a rischio molto alto; peraltro, nel presente scenario economico, occorre considerare anche il costo elevato di alcune procedure transcatetere. I progressi delle tecnologie extracorporee hanno dunque ben bilanciato quelli delle tecniche alternative, offrendo un ampio spettro di scelte ai clinici e ai pazienti, nell'ottica del raggiungimento del miglior "outcome" clinico.
Un buon esito chirurgico – un risultato durevole e dunque una spesa efficiente – derivano non solo dalla buona mano del chirurgo, ma da una presa in carico in cui cardiologo, anestesista, perfusionista, insieme selezionano il paziente, portandolo in sala operatoria al meglio delle sue condizioni e offrendogli la procedura più appropriata. Nella nostra esperienza la correzione dei fattori di rischio modificabili (es. l'anemia pre-operatoria), la "pre-riabilitazione" del paziente critico (es. con fisioterapia intensiva nelle patologie croniche polmonari), ma soprattutto l'applicazione di concetti fisiologici durante la circolazione extracorporea, quali il contenimento dell'emodiluizione e il mantenimento di adeguati livelli di ossigeno ai vari organi, si sono dimostrati efficaci per la riduzione delle complicanze postoperatorie, soprattutto a livello renale e cerebrale.