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Dalla medicina difensiva ai farmaci nuovi, più costosi ma non più efficaci: esperti a confronto a Roma

di Manuela Perrone

L'inappropriatezza è un prisma dalle mille facce: si annida nella mole di esami inutili generati dalla medicina difensiva, nei ricoveri dei malati cronici che necessiterebbero di assistenza sul territorio, nel ricorso a farmaci falsamente innovativi ma esageratamente costosi, nelle disuguaglianze che alimentano sprechi. Un buco nero che, parola della ministra della Salute Beatrice Lorenzin, vale 13 miliardi di euro, «cifra che permetterebbe al Servizio sanitario nazionale di prosperare per almeno due generazioni». L'occasione per fare il punto sulle pratiche scorrette è stato la tavola rotonda "Troppa sanità fa male - Appropriatezza prescritti a ai tempi della medicina difensiva", promosso il 25 novembre a Roma da Casagit, la cassa sanitaria dei giornalisti italiani che quest'anno festeggia 40 anni di vita.

Un Ssn virtuoso per spesa e performance

In un videomessaggio, Lorenzin ha chiarito: «Inappropriatezza non significa non approfondire la diagnosi, ma dare ciò che è giusto al momento giusto». Facile a dirsi, molto più difficile a farsi. Anche se drammatizzare non serve e non calza. Perché il nostro sistema sanitario - lo ha ricordato Roberta Crialesi, dirigente del servizio Sanità, salute e assistenza dell'Istat - è tra i più virtuosi a livello di spesa e, ciò che conta di più, di performance. In altre parole: abbiamo tenuto a bada la crescita della spesa rispetto al Pil meglio degli altri Paesi Ocse e siamo primi per efficienza organizzativa e clinica, pur continuando a detenere qualche primato negativo, come il ricorso eccessivo ai parti cesarei (che rappresentano il 36% del totale).

I "mali" dell'organizzazione
Tenere bene a mente questa cornice aiuta a evitare letture mistificatorie. «Sono lieta che i dati Istat coincidano con quelli che abbiamo rilevato nella nostra indagine sulla sostenibilità del Ssn», ha detto Emilia Grazia De Biasi, presidente della commissione Igiene e sanità del Senato. «La nostra è una buona sanità, soprattutto perché basata un un sistema universalistico che si occupa di tutti attraverso la fiscalità generale. Ma gli errori hanno più risonanza di quanta ne abbia la buona sanità». Ciò non vuol dire che siano tutte rose. Le spine non vanno taciute. De Biasi ne ha citate cinque: la mancanza di una legge che riconosca le professioni sanitarie; la medicina difensiva, «che sottrae troppe risorse a un'organizzazione che potrebbe avvalersene per migliorare se stessa»; l'assenza di una legge sulla responsabilità medico-sanitaria; l'ottica tutta ancora ospedalocentrica; il "tema drammatico" dei nuovi farmaci. Tutto aggravato dal federalismo: «Basta - ha concluso De Biasi - con le Regioni che si comportano da staterelli autonomi non comunicanti».

I farmaci tra evidenza e pregiudizi
Alle pecche dell'organizzazione si aggiunge la tendenza, comune a tutti i Paesi occidentali, della medicalizzazione della società che si intreccia con il progresso tecnologico. Silvio Garattini, direttore dell'Istituto Mario Negri di Milano, lo ha detto senza fronzoli: «Ci sono tanti pregiudizi, tra cui quello secondo cui l'ultimo farmaco è il migliore». Spesso a dispetto della tanto citata evidenza. Tanti fattori spingono in questa direzione: gli interessi economici, la disinformazione, le promesse esagerate di ricercatori sperimentali e clinici. Ci si muove in un "grande mercato" con attori diversi, dai sistemi nazionali alle cliniche, dall'industria alle farmacie. Garattini ha fatto esempi concreti di inappropriatezza: trattare malattie senza evidenze di beneficio, trattare soltanto il rischio di malattie, trattare chi non è neppure a rischio. Il risultato è sempre lo stesso: «Un sovraconsumo di farmaci e di altri prodotti, come gli integratori alimentari». Contro i quali è stato particolarmente severo: «Non fanno nulla, e in alcuni casi possono persino fare danni». L'invito finale è a opporsi, «perché è il trionfo del mercato contro gli interessi dei malati».

Lo sguardo altrove
Nell'Occidente ipermedicalizzato si dimentica il resto del mondo, salvo quando ci si sente minacciati, come il caso ebola dimostra. Una lezione esemplare, ha affermato Aldo Morrone, presidente della Fonazione Istituto mediterraneo ematologia, una vita spesa a curare gli ultimi: «Mette a nudo tutto il disinteresse del Nord del mondo che scopre alcune malattie solo quando teme che possano contagiarlo». E i 2 milioni di bambini che muoiono ogni anno per la diarrea? E la tubercolosi, la malaria, il colera, la leishmaniosi? Un velo di oblio. «Ma - ha avvertito Morrone rivolgendosi direttamente ai giornalisti - le novità della medicina non possono diventare solo notizie rassicuranti, regalare il passaporto per una longevità in buona salute o instillare fobie e sospetti». Dello stesso avviso il presidente Casagit, Daniele Cerrato: «Le periferie del mondo non illuminate, addirittura oscurate fanno comodo a tanti. Bisogna illuminarle e prevenire le nostre paure prima che diventino grandi e difficili da controllare». Non sprecare quello che abbiamo, usare al meglio le risorse, è anche una prova di equità.