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Global health telemedicine, così la telemedicina rinnova la cooperazione tra Nord e Sud del mondo

di Michelangelo Bartolo (‎Dirigente Responsabile UoS di Telemedicina della Ao San Giovanni-Addolorata-Britannico di Roma)

Balaka, Malawi: agglomerato urbano nel sud del paese di poco più di 20.000 abitanti. La giornata si preannuncia impegnativa. Ho 24 ore di tempo per installare anche in questo centro sanitario una postazione di telemedicina che darà la possibilità ai medici locali di chiedere una "second opinion" a circa 30 specialisti italiani collegati attraverso un servizio di telemedicina.

Ma questa è solo la fine di una missione durata due settimane che ha visto la realizzazione di un corso di formazione tenutosi a Blantyre, la seconda città del Malawi, dal titolo: "Global Health worker partnership throught telemedicine".

Il corso, organizzato con il patrocinio della Sit (Società italiana di Telemedicina), è stato organizzato dalla Global Health Telemedicine onlus, una costola del programma Dream di Sant'egidio noto nel mondo della cooperazione per curare 260.000 pazienti Hiv positivi in 10 paesi africani.

Un corso di formazione tenuto da medici volontari di diverse branche specialistiche quali neurologia, dermatologia, malattie infettive, epatologia, radiologia provenienti da realtà sanitarie di eccellenza, come l'Irccs Besta di Milano o dal San Giovanni di Roma.
Al corso hanno partecipato più di 50 medici provenienti dal Malawi, dalla Tanzania, dal Kenia e dal Mozambico.

Metter su una rete di teleconsulti tra il sud e il nord del mondo può essere uno strumento formidabile per una nuova forma di cooperazione internazionale ad alto impatto e a costi contenuti.

In un periodo storico in cui lo slancio missionario verso paesi in via di sviluppo è decisamente in crisi la tecnologia può venirci in aiuto.
È per questo che da una costola del programma Dream è nata la Ght, Global health telemedicine, una onlus che ha tra i suoi scopi diffondere e promuovere formazione e teleconsulti in Africa creando una rete virtuale ma estremamente reale tra medici africani ed europei.

L'idea non è nuova, anzi Ght potrebbe essere anche accusata di aver rubato l'idea a un progetto interministeriale realizzato in Italia quasi una decina di anni fa: "l'alleanza degli ospedali italiani nel mondo" realtà che offriva una rete di teleconsulto a 42 ospedali italiani sparsi nel mondo. Idea stupenda, inizialmente molto ambiziosa, naufragata negli anni per una dubbia gestione e cancellata nel 2012 con decreto del ministro Balduzzi. Effettivamente i risultati furono scarsini: in 6 anni di attività sono stati realizzati poco più di 2.000 teleconsulti, circa 8 teleconsulti per centro periferico all'anno che venivano finanziati con cifre rilevanti.

Global health telemedicine ha ripreso l'idea e grazie a nuove tecnologie, una maggiore accessibilità a internet e, soprattutto, un management serio, in poco meno di un anno ha aperto 9 centri di teleconsulto e compiuto 1.210 teleconsulti. I medici refertatori sono tutti professionisti che offrono volontariamente il proprio servizio, lo stesso dicasi per gli sviluppatori e manutentori della piattaforma informatica.

Insieme alle informazioni dei pazienti possono viaggiare radiogrammi, elettrocardiogrammi, immagini, o altri esami strumentali effettuati, insieme a una storia del paziente che, per i pazienti Dream, invia automaticamente lo storico degli ultimi 5 esami del sangue, delle ultime 5 visite mediche effettuate e la terapia in atto. Una specie di fascicolo sanitario elettronico tanto evocato dalle nostre parti.

Il medico locale indica quindi di quale specialista ha bisogno e il grado di urgenza secondo i colori del classico triage. Dal software locale la richiesta viaggia sul web e un server invia agli specialisti interpellati un Sms che li informa che c'è una richiesta di loro competenza. Il primo che si collega al web può visionare il consulto e potrà dare indicazioni diagnostiche e terapeutiche certe. Tale sistema offre consulenze specialistiche in zone remote a gente che non avrebbe mai avuto tale possibilità. Talvolta le richieste provengono anche da infermieri che, come avviene di frequente in Africa, si trovano a gestire condizioni cliniche complesse.

Il servizio in realtà non offre solo una consulenza ma è di fatto una formazione continua. Ormai in alcuni centri inviano solo gli elettrocardiogrammi particolarmente complessi e refertano autonomamente i tracciati normali o di semplice interpretazione.
Il progetto cresce di giorno in giorno e auspichiamo un minimo di attenzione dalla Cooperazione italiana che, con minimi finanziamenti, potrebbe rendere tale servizio molto più professionale e diffonderlo in molte zone del pianeta. Al momento abbiamo una quarantina di richieste da diverse zone dell'Africa che non riusciamo a soddisfare.

D'altra parte quanto realizzato è proprio quanto indicato nelle linee di indirizzo sulla telemedicina recentemente emanate dal ministero della Salute. Avere una "second opinion" tra centri sanitari di riferimento e centri periferici è il futuro anche per il nostro paese. Alcune regioni utilizzano tali metodiche da tempo, altre le stanno implementando, altre, sbandierando innovazione a costo zero, arrancano e cercano, non senza difficoltà, di adeguarsi alle nuove normative.

Talvolta ai congressi con un pizzico di amarezza mi trovo a dire che «è più semplice realizzare complessi servizi di telemedicina in Africa, che banali servizi di telemedicina in Italia». Attendo di essere smentito.