Commenti

Il malato «a pezzi»

di Gino Roberto Corazza (Presidente Società italiana di Medicina interna)

Nonostante la sua sostenibilità economica sia continuamente messa a rischio dal perdurare di sprechi e dalla possibilità di nuovi tagli lineari, il sistema sanitario italiano sembra -almeno se osservato dall'estero- godere di buona salute. Secondo Bloomberg, una delle più importanti agenzie mondiali di analisi economiche, siamo per efficienza (risultato/spesa) addirittura terzi nel mondo preceduti soltanto da due città-stato, Singapore ed Hong Kong. La nostra aspettativa di vita è tra le più alte, pari a 82.9 anni, per contro spendiamo per la sanità il 10% in meno di tre anni fa, vale a dire 3.032 dollari per cittadino, cioè il 9% del Pil. Anche in termini di efficacia (risultati disgiunti dalle spese) la situazione non è peggiore: in Italia, secondo l'Ocse, la mortalità per malattie a forte impatto sociale è inferiore alla media degli altri paesi industrializzati.

Tutto bene, quindi? Solo in apparenza e ad una prima lettura. A ben vedere, sia aspettativa di vita che, per converso, mortalità non rappresentano indicatori "diretti" della qualità di un sistema sanitario, potendo, a loro volta, dipendere in larga misura da una serie di fattori "esterni", di ordine genetico, dietetico ed ambientale. E i pazienti, attorno ai quali tutto ruota o dovrebbe ruotare, che idea si sono fatti? È verosimile che buona parte di essi - sballottati tra disagi di ordine burocratico, tempi di attesa in aumento, ticket sempre piu salati, vistose differenze nella qualità delle cure da regione a regione - non si siano nemmeno resi conto di vivere in un sistema così efficiente e privilegiato.
Uno dei motivi di maggiore insoddisfazione è rappresentato dalla percezione, sempre più chiara e diffusa tra i pazienti, di una eccessiva frammentazione assistenziale, che finisce per moltiplicare il numero delle visite, aumentare pericolosamente il numero di farmaci ed esami, allungare i tempi di diagnosi ed i periodi di degenza. Ma al di là di tali importanti effetti collaterali, che spesso però l'utente non è in grado di cogliere, quello di cui si accorge e che più lo disturba è la sensazione che la sua integrità psico-fisica sia artificiosamente scomposta in una serie di segmenti, misurati da persone diverse, che usano unità di misura diverse, dai quali teme di non riuscire ad ottenere una sintesi finale chiara, soddisfacente e, soprattutto, utile.

Sebbene tutto ciò abbia ovvie conseguenze negative, oltre che sullo stato di salute, anche sull'erario, nel nostro paese l'assistenza sanitaria continua ad essere configurata, come sul finire dello scorso millennio, su un modello specialistico o sub-specialistico centrato su singoli apparati e singole malattie. La realtà clinica attuale è ben diversa: l'emergenza da fronteggiare è rappresentata da una vera e propria epidemia di malati complessi, cioè portatori di più malattie croniche, ciascuna delle quali è in grado di interferire con le cure e con l'andamento dell'altra. In Scozia, ad esempio, il 42% dei pazienti in età pregeriatrica, cioè compresi tra i 25 e 65 anni, è risultato affetto affetto da due o più malattie. Il fenomeno, naturalmente, è ancora più vistoso in età geriatrica e di fronte a problematiche quali polipatologia e politerapia, è evidentemente necessario un approccio diverso da quello dello specialista d'organo, la cui funzione, peraltro, rimane insostituibile in casi particolari e procedure specifiche. Da più parti si avverte il crescente bisogno di un medico che ponga al centro della sua attenzione non il sintomo, la malattia o l'organo, ma il paziente come persona.

Il medico internista, se correttamente formato, dovrebbe rappresentare una figura professionale provvista di queste caratteristiche. L'oggetto di studio di questa disciplina è proprio rappresentato dalle complesse connessioni tra organi e funzioni diverse, nella consapevolezza che il comportamento del tutto sia qualcosa di più e di diverso dalla somma del comportamento delle singole parti. All'internista è richiesto di riconoscere i diversi problemi presentati dal paziente, gerarchizzarli in maniera appropriata e dirimere, tra essi, quelli da trattare e quelli dai quali attendersi un miglioramento indotto.

Il fatto di avere sempre considerato il ragionamento clinico, se non sostitutivo, almeno prioritario rispetto ad indagini strumentali sempre più costose ed invasive, nella convinzione che uso ottimale ed uso massimale delle risorse tecnologiche non sono sinonimi, dovrebbe rappresentare un buon biglietto da visita per chi, in tempi di prolungata recessione globale, dovrebbe ridisegnare un sistema sanitario meno ridondante ma più efficiente. Purtroppo, diversamente dal modello "generalista" per il quale hanno già optato altri paesi, in Italia i posti letto di Medicina interna nel quadriennio 2010-13 sono calati del 10% ed un'indagine Anaa-Assomed, che ha analizzato il rapporto tra flussi pensionistici (in aumento) e contratti di formazione specialistica (in riduzione), prevede nei prossimi 10 anni un saldo negativo di 1800 specialisti in Medicina interna. Saranno in grado i nostri legislatori di intervenire tempestivamente su queste allarmanti prospettive?