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Quale sicurezza sul lavoro per le lavoratrici della Sanità?

di Franco Bettoni (presidente ANMIL onlus)

"Prendersi cura di chi ci cura" è il titolo dello studio che Anmil Onlus ha presentato oggi, a ridosso della Giornata delle donne, nella conferenza stampa che si è tenuta nella Sala Caduti di Nassirya di Palazzo Madama. La competenza e la dedizione che gli autori hanno dedicato all'analisi quantitativa e qualitativa dell'andamento infortunistico e tecnopatico tra le donne lavoratrici nel settore sanitario in Italia e al quadro delle tutele giuridiche esistenti e da rafforzare e la loro comparazione, per alcuni aspetti, con i Paesi dell'Unione Europea, offre il quadro di un fenomeno significativo ed allarmante, da segnalare al mondo scientifico e alle Autorità istituzionali affinché possano attivarsi per individuare le soluzioni più efficaci per ridurre il fenomeno e migliorare la tutela delle donne lavoratrici in questo settore.
L'allarme proviene soprattutto dall'avanzare di rischi nuovi ed emergenti che colpiscono specialmente le donne: lo stress, il burn-out, i disturbi muscoloscheletrici, la violenza e le aggressioni; fenomeni ancora poco studiati da un punto di vista medico e di conseguenza non sempre regolamentati in modo sistematico e tutelati in maniera adeguata. Eppure proprio questi nuovi rischi preoccupano le istituzioni nazionali, comunitarie e internazionali, in un settore che nonostante la crisi è ancora un importantissimo "datore di lavoro" ed è cruciale per gli obiettivi dell'Europa 2020, poiché la sua efficienza e la sua produttività sono direttamente funzionali alla salute di ttta la popolazione.

Lo studio è diviso in tre parti.
il quadro statistico; il quadro medico e il quadro giuridico. I capitoli sono stati rispettivamente curati dal Prof. Franco D'Amico, Coordinatore servizi statistico-informativi di ANMIL Onlus, dal Prof. Domenico Della Porta, Docente di Medicina del Lavoro presso l'Università di Salerno e dalla Dott.ssa Maria Giovannone, Responsabile Scientifico di ANMIL Sicurezza. Il rapporto è poi corredato da una appendice, contenente le testimonianze dirette di quattro donne, socie ANMIL, che, con diverse qualifiche professionali (infermiera, operatrice socio-sanitaria, fisioterapista, tecnica radiologa) hanno lavorato, si sono infortunate e hanno contratto una malattia professionale in Sanità.
L'ANMIL Onlus da oltre 70 anni si occupa della tutela delle vittime del lavoro ed ha oltre 400mila associati, 106 sezioni in tutta Italia e da più di quindici anni ha costituito il Gruppo Donne per le Politiche Femminili.

Il quadro statistico
. La presenza femminile nel settore della "Sanità e assistenza sociale" si va sempre più espandendo e raggiunge, oggi, circa il 70% del personale. Una tendenza che non è più circoscritta a categorie storicamente femminili o di supporto, come le infermiere o le operatrici ausiliarie, ma inizia a incidere anche sui ruoli apicali: negli ultimi venti anni sono quasi raddoppiati i direttori generali donna, mentre i medici in camice rosa hanno superato gli uomini, salendo dal 40% al 60%. Ma anche dal punto di vista infortunistico la Sanità si può definire un settore rosa: dei circa 43.000 infortuni avvenuti nel 2013 ben 32.000, pari ad oltre il 73%, ha colpito la componente femminile.
In questo senso, la Sanità rappresenta uno dei settori (pochissimi) in cui l'incidenza infortunistica femminile è superiore a quella maschile, sia in termini assoluti che in termini relativi, rapportando cioè il numero degli infortuni dei due sessi a quello delle rispettive forze-lavoro impegnate. La maggior parte degli infortuni sul lavoro (17.500 circa pari al 55% del totale), si verificano nelle Strutture ospedaliere o nelle Case di cura; l'Infermiera è l'operatrice più colpita in assoluto tra tutte le innumerevoli figure professionali, con oltre 10.000 infortuni l'anno, pari al 32% del totale. In pratica su tre operatrici sanitarie infortunate una è Infermiera.
L'estrema varietà e complessità delle mansioni e dei compiti svolti dalle lavoratrici sanitarie le espone ad innumerevoli rischi, sia di carattere generale, connessi cioè alle precarie condizioni ambientali della struttura, sia di carattere specifico come quelli traumatici dovuti agli Sforzi da sollevamento e spostamento di pazienti o di carichi che causano circa 4.000 infortuni l'anno (17% del totale) e sono alla base di oltre 1.300 Patologie dell'apparato muscolo-scheletrico, che rappresentano la malattia professionale di gran lunga più diffusa (oltre il 90% di tutte le tecnopatie).
Ma esiste un altro rischio, meno conosciuto ma molto diffuso tra le operatrici di questo settore: "Aggressione o violenza da parte di estranei". Dei circa 4.000 infortuni indennizzati complessivamente nel 2013 per questa particolare tipologia di eventi, circa 1.200 (quasi un terzo del totale) sono avvenuti nella Sanità e di questi quasi il 75% ha interessato la componente femminile. Si tratta in genere di aggressioni da parte di pazienti (per lo più psicolabili), parenti o altri utenti a seguito di situazioni varie legate spesso a precarietà o lungaggini del servizio. In merito alle conseguenze lesive, il mondo della Sanità femminile presenta, come detto, una incidenza infortunistica molto diffusa ma, allo stesso tempo, di gravità fortunatamente moderata. La stragrande maggioranza degli infortuni (96,6% del totale) ha avuto come conseguenza una inabilità temporanea al lavoro, mentre soltanto il 3,4% si è risolto con più gravi esiti di menomazione permanente, una quota che è notevolmente inferiore a quella media nazionale (8%) e a quella di settori notoriamente ad "alto rischio" come le Costruzioni (12%).
Tenendo conto della durata media delle inabilità temporanee indennizzate rilevata dall'INAIL (24 giorni) e dei giorni non indennizzati per i casi in franchigia, si può stimare che ogni anno le operatrici della sanità perdono circa 600.000 giornate di lavoro a causa degli infortuni.

Il quadro delle tutele. Non tutte le fattispecie di rischio prese in considerazione fino ad ora hanno ricevuto una compiuta regolamentazione nell'ambito della normativa di legge cogente dettata dal d.lgs. n. 81/2008 (cosiddetto Testo Unico della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro). In generale, poi, le disposizioni normative esistenti in materia, hanno un ambito di applicazione oggettivo e soggettivo trasversale a tutti i comparti produttivi (non specificamente dettate per il settore sanitario) e alle varie figure professionali, a prescindere dal sesso del lavoratore; resta dunque in capo a chi applica la norma il compito di articolare le disposizioni in materia in modo adeguato alle specificità organizzative del settore sanitario tenendo conto, in questo ambito, della dimensione di genere. Proprio la prospettiva di genere, infatti, deve dunque fungere da "collante" e da filtro di ogni attività di valutazione e gestione dei rischi qui analizzati, considerato che la loro incidenza è più intensa sulla popolazione lavorativa di sesso femminile.
Nella gestione di questo adempimento il datore di lavoro deve partire dalla considerazione del ruolo socio-culturale delle donne e della diversità biologica e fisica esistente tra donne e uomini. Questa operazione deve tener conto di una strategia articolata volta alla integrazione della dimensione di genere nella pianificazione, nell'amministrazione e nelle lavorazioni aziendali, anche attraverso lo sviluppo di buone pratiche. Rispetto ai rischi psicosociali riscontriamo oggi una forte disomogeneità nel quadro delle tutele esistenti.
Infatti, mentre l'obbligo di valutazione dello stress lavoro-correlato è disciplinato espressamente dall'art. 28 del d.lgs. n. 81/2008 e la metodologia per la valutazione e la gestione dello stress sul luogo di lavoro è stata dettagliatamente disciplinata la Lettera circolare contenente le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio stress lavoro correlato, emanata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il 18 novembre 2010, ancora incompleto è il quadro delle tutele rispetto al fenomeno del burn-out che caratterizza in modo del tutto peculiare proprio le professioni sanitarie, a tutti i livelli. Il burn-out, infatti, è ingenerato soprattutto dal contatto prolungato con la sofferenza e la malattia altrui; da un punto di vista giuridico il burn-out non è stato ancora espressamente regolamentato a livello normativo. In generale poi, da un punto di vista giurisprudenziale, la situazione in tema di rischi psicosociali, eccetto che per il mobbing, sembra essere ancora molto controversa sia sui profili risarcitori che su quelli indennitari.
Tutto da definire è anche il quadro delle tutele per le vittime di violenza o aggressioni da parte di soggetti terzi. Questi fenomeni, distinti dalle forme di violenza fisica e morale provenienti da colleghi o superiori, consistono proprio in quelle forme di violenza, perpetrate in danno delle operatrici da parte di terzi, quali pazienti ed utenti del servizio e delle prestazioni sanitarie. Tali comportamenti costituiscono rischi esogeni rispetto all'attività produttiva, ma vanno gestiti e valutati nei contesti lavorativi in cui siano frequenti e prevedibili; di conseguenza il settore sanitario non pare sfuggire all'obbligo di valutazione del rischio riconducibile all'aggressione di un terzo, anche a scopo sessuale, ed ai correlati doveri di informazione e formazione dei lavoratori esposti, ferma restando la necessità di verificare caso per caso le circostanze fattuali in cui la violenza si verifica. Sul punto anche la giurisprudenza sembra ormai concordare in modo deciso. Nell'attesa di una regolamentazione normativa specifica, ad oggi ancora assente, di tale evidenza ha preso atto il ministero della Salute con la raccomandazione n. 8 del 2007, Raccomandazione per prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari.
Quanto ai disturbi a carico dell'apparato muscolo-scheletrico, essi sono da tempo oggetto di regolamentazione a livello comunitario e nazionale. Nonostante ciò si rileva ad oggi la carenza di prescrizioni normative specifiche e di dettaglio, di livello nazionale ed unitario, sulle modalità di gestione e prevenzione dei rischi per i singoli settori produttivi (oltre alle più ampie e generali previsioni già presenti nel d.lgs. n. 81/2008) e con specifico riferimento al comparto Sanità. E ancora, dal punto di vista prevenzionale le tecniche di valutazione del rischio, risentono della discutibilità sotto il profilo scientifico di molte metodologie di valutazione dei rischi per l'apparato muscolo-scheletrico ad oggi impiegate e degli studi sulle stesse basate. Dalla analisi globale, oltre alla necessità di una disciplina giuridica cogente specificamente dedicata ai rischi emergenti nel settore sanitario, emerge la opportunità di sviluppare strumenti di soft law, quali buone prassi per la valutazione e la gestione dei rischi emergenti e per la organizzazione del lavoro. Tale indicazione è la risultante delle principali buone pratiche di gestione che le organizzazioni internazionali, le istituzioni comunitarie e i singoli Stati Membri, compresa l'Italia, hanno messo in campo nel settore.