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Nuovi Livelli essenziali di assistenza lontani dai criteri di empowerment

di Vincenzo Falabella (presidente della Federazione italiana per il superamento dell'handicap)

Lo schema di Dpcm che definisce i nuovi Lea è un atto corposo che richiede approfondimenti attenti nei particolari e nei dettagli. Riconosciamo lo sforzo tecnico notevole e alcuni elementi di positività, ma evidenziamo la nostra valutazione sui principi generali che ispirano il nuovo strumento.
I nuovi Lea sembrano ignorare largamente ciò che di fondamentale è accaduto negli ultimi 15 anni in termini di produzione scientifica, di atti internazionali, di elaborazione italiana su elementi centrali per la disabilità, per i diritti umani, per le pari opportunità. È cambiato il paradigma sulla disabilità: da sanitarizzante a bio-psicosociale. Scendiamo nel concreto. Nel 2001 l'Oms ha pubblicato l'Icf, la Classificazione internazionale del funzionamento, della salute e della disabilità, che consente di descrivere da un lato funzioni e strutture corporee, dall'altro le attività e la partecipazione e infine i fattori ambientali.
Al contrario, né lo schema del Dpcm né i «principi per l'erogazione di ausili, ortesi e protesi», pongono come riferimento esplicito alcuna codificazione internazionale riconosciuta. Icf sarebbe stato uno strumento di eccezionale efficacia, ad esempio, negli interventi di natura abilitativa (riabilitativa) anche per assumere linguaggi e approcci omogenei e consentire efficienti comparazioni. Ci rammarichiamo per la dispersione di questo patrimonio di elaborazione internazionale. Ciò tradisce ancora una volta l'adesione a una logica "sanitarizzante" delle situazioni.
Ciò appare ancora più evidente nella totale assenza di riferimenti alla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, approvata a New York del 2006 e ratificata dall'Italia con la legge 18/2009. Eppure quell'atto internazionale indica alcuni principi ai quali le normative nazionali dovrebbero rifarsi. Primo fra tutti, che la persona con disabilità va resa protagonista delle scelte che la riguardano. Se leggiamo, a titolo di esempio, la parte del Dpcm che riguarda le «erogazioni di ausili, protesi, ortesi», rileviamo quanto sia marginale il ruolo della persona nella costruzione del progetto riabilitativo, nella scelta dell'ausilio, nel controllo della sua efficacia. Si tratta invece di una procedura prescrittiva e autorizzativa prevalentemente medica o amministrativa.
L'"erogazione" di ausili, al contrario, non dovrebbe essere un mero atto sanitario, ma permettere alle persone con disabilità di «ottenere e conservare la massima autonomia, le piene facoltà fisiche, mentali, sociali e professionali, e il pieno inserimento e partecipazione in tutti gli ambiti della vita» (art. 26 Convenzione Onu).
Non è più sostenibile la frammentazione fra "progetti riabilitativi", "progetti di inclusione scolastica", "progetti per il collocamento mirato" con altrettanti responsabili, con una proliferazione di risposte, servizi, o con carenze nell'attribuzione delle competenze. Lo si era espresso molto bene già nel 2000 (art. 14, legge 328): alle persone con disabilità la continuità assistenziale è garantita attraverso il progetto individuale che coordini ed implementi interventi sanitari, sociali e di tutela per l'intero arco della giornata e per tutti i giorni dell'anno.
Se non si assume tale cardine anche la cosiddetta integrazione sociosanitaria non può che rimanere un miraggio o trovare soluzioni confuse in cui prevale la logica meramente sanitaria. È quindi consequenziale che nei "Percorsi assistenziali integrati" ipotizzati dal Dpcm ma anche negli altri interventi "sociosanitari" domiciliari o semiresidenziali manchi quella visione di carattere sociale e inclusiva da cui dovrebbero essere informati i percorsi di presa in carico. Per tacere della "valutazione diagnostica multidisciplinare" prevista con estrema genericità al capitolo "assistenza sociosanitaria alle persone con disabilità".

La valutazione della disabilità è un nervo scoperto, ancora una volta indefinito nei criteri e nelle finalità. E nel nuovo Dpcm, al contempo, troviamo ancora una mancata definizione di alcuni concetti, quali la non autosufficienza.
Un altro elemento centrale è quello dell'accesso ai servizi per la salute, ambito in cui le persone con disabilità soffrono significative discriminazioni. Intervenire efficacemente significa assicurare, innanzitutto, un'informazione adeguata, integrata, comprensibile. Ciò imporrebbe, ad esempio, garantire personale appositamente formato e la predisposizione di percorsi preferenziali.
Il Dpr 4 ottobre 2013 ha approvato il Programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità, che alla linea di azione n. 6, prevede molti dei punti qui evidenziati come impegno di intervento normativo da parte del Governo e delle Regioni. Tutto ciò, incomprensibilmente, non è avvenuto.