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Dolore Episodico Intenso: la corretta terapia inizia da una buona comunicazione medico-paziente

di Raffaella Pannuti (Presidente Fondazione Ant Italia)

Il dolore, fra tutti i sintomi, è quello che più mina il fisico e la psiche del paziente oncologico, con un notevole impatto sulla qualità di vita. Ciononostante, siamo ancora lontani da una sua efficace presa in carico. Non basta considerarlo vera e propria patologia, non basta ricordare che trattarlo è dovere del clinico, prima ancora che diritto del malato. Occorre tornare alle origini del rapporto medico-paziente e indagare le motivazioni che ancora oggi rappresentano il muro da abbattere per una gestione ottimale del problema.

Questo vale soprattutto per una patologia complessa come il Dolore Episodico Intenso (D. E. I.): un picco di sofferenza intensa, che si verifica all'improvviso in quasi la metà dei malati oncologici. Insorge più volte nel corso della giornata e, quando termina, lascia nel paziente l'ansia e la paura che possa tornare, spesso compromettendone il benessere psicofisico e il percorso di cura.

Per controllare efficacemente il D.E.I., servono una diagnosi tempestiva e l'utilizzo di oppioidi in formulazioni che permettono un rilascio rapido del principio attivo e la possibilità di calibrare il dosaggio, in base alle caratteristiche del singolo paziente. Eppure, dalle nostre ultime analisi (Studio ANT 2014) è emerso come quasi la metà dei malati con D.E.I. non riceva un trattamento appropriato.

Partendo da queste premesse e dalla consapevolezza dell'utilità di una comunicazione costruttiva tra medico e paziente, ha preso il via il progetto "Ascolto e relazione nel percorso di cura: 6 D.E.I. nostri?", promosso da Angelini con l'obiettivo di migliorare il successo dei percorsi terapeutici del Dolore Episodico Intenso.

Insieme a 160 terapisti del dolore, Fondazione Ant ha partecipato a un convegno tenutosi di recente a Napoli per condividere, attraverso i meccanismi narrativi dello storytelling, esperienze e riflessioni sulle 6 situazioni critiche più frequenti nella gestione del paziente oncologico che soffre di dolore, giungendo a definire i comportamenti appropriati e a individuare le pratiche che, invece, andrebbero evitate.

Tra le principali problematiche emerse, nei diversi gruppi di lavoro, vi è il paradosso dei pazienti che rifiutano la terapia antalgica, di fronte ai quali il clinico deve compiere uno sforzo di comprensione e cercare un'apertura che porti a una soluzione davvero condivisa. Altre criticità sono rappresentate da preconcetti, convinzioni errate, informazioni non corrette spesso derivanti dalla consultazione del web da parte dei malati: in queste circostanze, il medico deve prestare attenzione al contesto socio-culturale del paziente e alla sua storia clinica, cercando di rassicurarlo con il linguaggio più adatto, evitando risposte standard.

Il fine ultimo del convegno è stato quello di elaborare delle "storie cliniche" in grado di rappresentare esempi di buona comunicazione, alla base di un'efficace gestione del dolore: queste storie confluiranno poi nella pubblicazione di un volume dedicato e messo a disposizione di tutti i clinici.

Le esperienze cliniche raccolte e che ogni gruppo di lavoro ha trasformato in storia testimoniano il valore della narrazione nello sviluppo di una comunicazione che ponga il paziente al centro del percorso di cura. Come operatori sanitari, medici in generale e terapisti del dolore in particolare, dobbiamo essere consapevoli che non è più possibile pensare di gestire efficacemente la malattia limitandosi a prendere in considerazione i fenomeni patologici che si stanno verificando nel corpo del paziente, senza accompagnarlo nella reale comprensione di essi.

Soprattutto dobbiamo cercare di comprendere quale sia il significato che i pazienti attribuiscono al loro malessere e quale rappresentazione cognitiva-emotiva abbiano costruito dei sintomi che sottendono alla patologia oncologica, in primis il dolore: solo così potremo suscitare in loro la motivazione necessaria a combatterli efficacemente.

Noi di ANT questa consapevolezza l'abbiamo chiamata Eubiosia: ci impegniamo ogni giorno per migliorare la qualità di vita dei nostri assistiti e dobbiamo continuare a farlo, consci di quanto sia determinante la costruzione di un solido rapporto medico-paziente, nella direzione di un'effettiva alleanza terapeutica. Quanto e come questo rapporto possa essere positivamente influenzato da una comunicazione efficace è il messaggio più importante che l'incontro di Napoli ha permesso di ribadire con la forza della condivisione.