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La lezione che ha dato Ebola

di Santino Severoni, Rita Sa' Machado, Giovanni Rezza (Health&Migration, Division of Policy and Governance for Health and Well-being, World Health Organization, regional office for Europe - Dipartimento Malattie infettive - Iss)

ll 2014 si è chiuso lasciandoci con una sfida aperta: questa sfida si chiama Ebola. Da quando il virus ha fatto la sua comparsa, nel 1976, per la prima volta un'epidemia di Ebola ha colpito popolose città africane, rappresentando una minaccia anche per i Paesi "ricchi".
Lo scorso 8 agosto, l'Oms ha riconosciuto l'attuale epidemia di Ebola nell'Africa occidentale come emergenza sanitaria di pertinenza internazionale. Da allora, l'epidemia viene fronteggiata sia seguendo i regolamenti sanitari internazionali, sia attraverso il supporto di una commissione d'emergenza ad hoc, ma soprattutto con il dispiegamento di straordinarie risorse umane: medici, epidemiologi, infermieri, antropologi, sociologi e logisti dell'Oms, ma anche di organizzazioni governative e non governative, innanzitutto Msf, ma anche Emergency e altre. L'Oms ha raccomandato di effettuare degli screening in uscita nei Paesi colpiti e di evitare viaggi all'estero da parte di persone malate. Con l'eccezione dei trasporti medici effettuati in condizioni di sicurezza, come per esempio è avvenuto nel caso del medico italiano di Emergency, curato presso l'Ospedale Spallanzani di Roma. Non è previsto invece alcun divieto generale sia sul commercio che sul trasporto internazionale.

Durante l'epidemia di Ebola, Zsuzsanna Jakab, direttore regionale europeo dell'Oms, ha sottolineato come il rischio di diffusione in Europa sia estremamente basso, anche se non è possibile escludere l'importazione di casi di Ebola nella nostra Regione, derivanti dagli spostamenti turistici, dall'afflusso di migranti, di operatori sanitari e uomini d'affari. Di fatto, sino a ora, a parte i casi di rimpatrio programmato, nel mondo sviluppato si sono verificati rari casi, per lo più in operatori sanitari che avevano prestato la propria opera in uno dei Paesi affetti. Come si spiega questo basso rischio? Soprattutto in base al fatto che i Paesi con robusti sistemi sanitari sono in grado di attuare piani d'emergenza che attivano in relazione al livello di consapevolezza e pericolo: si tratta insomma di sistemi sanitari ben sviluppati e collaudati, in grado di gestire le minacce sanitarie.
Inoltre, la diffusione dell'informazione e il livello di consapevolezza e cultura scientifica fanno sì che si possano adottare misure di controllo adeguate anche a livello comunitario.
Temiamo per i nostri Paesi (ed è naturale e giusto farlo), ma in verità rischiamo di concentrarci su un falso obiettivo, finendo per non fare i nostri interessi.
Non ha trovato riscontro, per esempio, il timore diffuso nei mesi passati, visto l'eccezionale flusso migratorio verso la Sicilia osservato nel 2014, che i migranti potessero rappresentare il cavallo di Troia per introdurre Ebola nel nostro Paese. Piuttosto, è importante facilitare l'accesso alle strutture sanitarie. L'esclusione dei migranti dai nostri sistemi di cure significherebbe infatti mettere a rischio non solo loro, ma l'intera popolazione, ritardando la diagnosi e il trattamento di patologie infettive quali a esempio la tubercolosi. L'Italia, a questo proposito, ha acquisito un'enorme esperienza. La Sicilia, innanzitutto, anche a causa di crisi che hanno coinvolto Nord-Africa e Medio Oriente, ha dovuto imparare a gestire un ampio (e crescente) flusso migratorio. Uno studio condotto quest'anno nell'isola dall'Oms su 200mila migranti provenienti dall'Africa ha mostrato che meno del 2% risultava affetto da malattie trasmissibili. Il ricorso al ricovero ospedaliero era però in eccesso, anche in conseguenza del mancato filtro che viene rappresentato, per i nostri cittadini, dai medici di base. Evidentemente, si può e si deve agire per far fronte all'emergenza migrazione, conciliando le problematiche di salute degli immigrati e l'interesse alla tutela delle collettività locali.

La sfida di Ebola, infatti, va vinta nei Paesi contagiati: è lì che bisogna arginare il virus. La comunità internazionale deve dare il proprio contributo sostenendo i Paesi colpiti attraverso un supporto tecnico dal punto di vista del personale e delle forniture mediche, ma anche infrastrutturale e finanziario. Insomma, possiamo vedere Ebola e le varie emergenze infettive come una minaccia che schiaccia e paralizza il mondo oppure come un'opportunità per intervenire rafforzando le politiche sanitarie dei nostri Paesi sotto ogni aspetto, migrazione compresa, e contribuendo a migliorare la risposta agli eventi epidemici nei Paesi poveri di risorse. Sta a noi scegliere.