Dal governo

La sfida: escludere l'assegno di invalidità

di Giovanni Pagano ((presidente Fand -Federazione tra le Associazioni nazionalidelle persone con disabilità)

Dopo due anni di trattative tra ministero del Lavoro, associazioni dei disabili e associazioni sindacali, la riforma dell'Isee è entrata in vigore l'8 febbraio 2014, ma le polemiche sulla regolamentazione dei criteri di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente non si sono placate.
Con l'articolo 5 della legge 214/2011, cosiddetta "Salva Italia" risalente al Governo Monti, il Legislatore si era prefisso lo scopo di riformare il sistema di accesso alle prestazioni socio-assistenziali e socio-sanitarie attraverso: un miglioramento della capacità selettiva dell'indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita in Italia e all'estero; la differenziazione dell'indicatore per le diverse tipologie di prestazione; l'introduzione di una definizione di reddito disponibile che includesse la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenesse conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e delle persone disabili a carico.
Tali princìpi, apparentemente chiari e condivisibili, si sono rivelati nella sostanza penalizzanti, soprattutto per i soggetti disabili (invalidi civili, ciechi e sordi e per quelli vittime di infortuni sul lavoro e per servizio) e hanno impedito che le richieste avanzate dalle associazioni di categoria trovassero pieno accoglimento.
Deve comunque premettersi che, rispetto al testo presentato in origine dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, i miglioramenti richiesti e ottenuti dalle associazioni di categoria consultate nel corso degli incontri svoltisi presso il ministero del Lavoro, sono in verità notevoli.
Basti pensare alla graduazione delle forme di disabilità ai fini della differenziazione delle franchigie, che ha creato i presupposti per l'ampliamento dell'accesso ai servizi assistenziali e socio-sanitari dei disabili gravi.
Ma il punto su cui si è molto dibattuto e sul quale ancora oggi le polemiche non sono sopite è costituito dall'inserimento nell'indicatore della situazione reddituale degli assegni e pensioni di invalidità civile, di cecità e sordità, dell'indennità di accompagnamento e delle rendite Inail e degli invalidi per servizio.
Si tratta, innanzitutto, di un assurdo giuridico, creato dall'articolo 5 della legge 214/2011 che ha previsto l'inclusione nel «reddito disponibile» di tutte le prestazioni economiche fiscalmente esenti e, quindi, di tutte quelle assistenziali e delle rendite connesse a infortuni sul lavoro o a invalidità per servizio.
In sostanza, il Legislatore ha considerato «reddito disponibile» quelle prestazioni economiche che vengono erogate per garantire il minimo indispensabile per far fronte alle esigenze primarie della vita a coloro che risultano privi di capacità lavorativa, o non autosufficienti, o che ricevono un risarcimento danni per infortuni sul lavoro o per servizio.
La previsione normativa ha impedito che con il Dpcm 159/2013 (attuativo della citata disposizione di legge) potessero essere escluse tali prestazioni dal reddito.
Ma le associazioni dei disabili hanno ottenuto una forma di compensazione economica attraverso un sistema di franchigie che ha attenuato l'effetto dell'aumento del reddito da considerare ai fini dell'indicatore della situazione economica equivalente.
In tal modo si è favorito un maggiore e più largo accesso a prestazioni sociali e socio-sanitarie, in particolare per la categoria dei disabili e dei soggetti vittime di infortuni sul lavoro e per causa di servizio.
In ogni caso, il punto di contrasto esiste ed è riferito alla scelta fatta dal Legislatore di considerare come reddito prestazioni economiche che tali non sono, sia per loro natura, sia per configurazione giuridica.
Pertanto, la soluzione non può che essere affidata a una modifica del citato articolo 5 della legge 214/2011 ed è su questa strada che, nel corso dei prossimi mesi, si misureranno le associazioni di categoria dei disabili e in particolare la Fand.