Dal governo

Corte dei conti: il fisco federale penalizza il Sud soprattutto per effetto delle maxialiquote sanitarie

Le maxialiquote legate ai disavanzi sanitari deprimono l'economia del territorio e la capacità di generare base imponibile e così il federalismo non fa bene a tutti, soprattutto al Sud.

Ma nonostante questo «il completamento del percorso sul federalismo fiscale avviato nella scorsa legislatura è oggi particolarmente urgente» secondo quanto ha affermato la Corte dei Conti in occasione di un'audizione nella commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale. «Il consolidamento dei risultati ottenuti nella responsabilizzazione delle gestioni decentrate, infatti - prosegue la magistratura contabile - rappresenta, ad avviso della Corte, una condizione indispensabile per il risanamento finanziario».
Secodo la Corte dei Conti «la ripresa del lavoro della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale rappresenta, anche per questo aspetto, un segnale importante a favore del compimento del disegno di riforma delle autonomie territoriali».

Sud schiacciato dalle maxialiquote
«Il ricorso alla leva fiscale è molto differenziato sul territorio con una regola distorsiva che penalizza i territori con redditi medi più bassi ed economie in affanno» secondo il presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri.

Squitieri ha evidenziato che Irap e addizionali Irpef «sono mediamente più alte nel Mezzogiorno». I divari territoriali, si legge nel documento della Corte dei Conti presentato ai parlamentari, «sono particolarmente pronunciati anche nel caso dell'Irap con quasi due punti (67%) fra Calabria e provincia autonoma di Bolzano». Si tratta di differenze, ha sottolineato Squitieri, «che finiscono per colpire più pesantemente i livelli di imponibile più bassi» e le Regioni con «le realtà economiche più povere». Queste ultime ha detto Squitieri: «contando su una ridotta capacità fiscale del proprio territorio e costrette ad aumentare le aliquote per ripianare il deficit della sanità, finiscono per deprimere ulteriormente l'economia del territorio e la capacità di generare base imponibile. Un circolo vizioso che si concentra in misura particolare nel Mezzogiorno».

Inoltre, le evidenze quantitative delle entrate, e i divari territoriali della pressione fiscale, sottolinea la Corte dei Conti, «sembrano testimoniare una mancanza di coordinamento fra prelievo centrale e locale» e questo - ha rimarcato il presidente Squitieri - nonostante la legge delega al Governo sul federalismo (2009/42) prevedesse «un vincolo di invarianza della pressione fiscale complessiva».

Per di più, secondo la relazione, per colpa dei tagli per recuperare risorse «è percepito, ormai diffusamente, l'offuscamento progressivo delle caratteristiche dei servizi che il cittadino può e deve aspettarsi dall'intervento cui è chiamato a contribuire. Nella sanità, ciò ha significato, in molte Regioni, servizi di assistenza agli anziani o disabili inadeguati agli standard; qualità della offerta ospedaliera insufficiente e alla base di un incremento della mobilità sanitaria. A ciò si aggiunga (sempre per rimanere nell'ambito dei servizi essenziali) una crescente difficoltà di mantenimento dei servizi di trasporto pubblico locale».

Fabbisogni e costi standard
Un capitolo a parte analizzato nella relazione è poi quello dei fabbisoni e dei costi standard.
I due decreti legislativi approvati sugli standard di Comuni e Province e sugli standard sanitari per le Regioni, sembravano dover seguire due impostazioni diverse. Quello degli Enti locali, una impostazione bottom-up: individuato a livello nazionale un pacchetto di prestazioni minime da garantire, sulla base del finanziamento statale, in tutto il territorio nazionale (i livelli essenziali delle prestazioni), si trattava di valorizzare tali prestazioni secondo un costo unitario efficiente (o medio) stimato mediante tecniche statistico-econometriche.
Completamente diverso il caso dei costi standard in sanità. In questo caso l'impostazione seguita era di tipo top-down: il fabbisogno sanitario nazionale standard era definito come quello che consente di garantire l'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni in condizioni di efficienza.

Il calcolo dei costi standard in sanità non incideva quindi, speiga la Corte, sulla definizione del livello del finanziamento ma solo sul criterio di riparto. Nella attuazione tali differenze si sono, di fatto, annullate.

Per la sanità se, da un lato, la scelta operata sembra ridurre l'impatto del riferimento ai costi standard nel nuovo meccanismo di definizione del finanziamento del settore, dall'altro, «essa ha il pregio di semplificare la gestione del sistema, garantendo il collegamento tra la programmazione di bilancio, le compatibilità di finanza pubblica e l'analisi comparativa di quantità e qualità dei servizi erogati».

«L'allocazione delle risorse - commenta la relazione - è destinata a mutare solo se verrà assunto un diverso metodo di ponderazione rispetto a quello utilizzato nell'anno preso a riferimento. Infatti, eventuali conseguenze redistributive dipenderanno dalla estensione dei pesi per classi di età alle varie categorie di assistenza sanitaria (oggi solo un terzo del finanziamento è ripartito sulla base della popolazione pesata, la parte restante sulla base della popolazione assoluta)».