Dal governo

Le urne di maggio e il risiko regionale. A chi le poltrone delle commissioni?

di Roberto Turno

Stefano Caldoro versus Vincenzo De Luca. Luca Zaia versus Alessandra Moretti. Raffaella Paita versus Giovanni Toti. La guerra per il governo di 7 Regioni incombe, quasi fossero elezioni di midterm anche per il Governo nazionale. In attesa che le urne del 31 maggio diano il loro responso, c'è chi prima delle urne fa altri conti. Con tutte le cautele del caso. Perché tra le regioni da lunedì 1 giugno andrà in onda anche un particolarissimo risiko: chi comanderà nel loro parlamentino, chi conquisterà e come e con quali maggioranze complessive le commissioni della Conferenza tra i presidenti. Una tra tutte: la commissione Salute. Croce e delizia per i conti locali. E per chi le guida.

Poltrone ambite
La partita si svolge nel massimo riserbo, naturalmente. Perché non sta bene parlare di “potere” e di “poltrone”. Ma il succo è tutto lì, oltreché di quelli (ben più importanti) che saranno gli equilibri politici complessivi a livello nazionale. Perché è chiaro che per il Pd vincere con un tennistico 6-1 (solo il Veneto ancora in mano alla Lega) piuttosto che con un 5-2 (via anche la Liguria soffiata da Toti a Paita) o peggio ancora con un modesto 4-3 (addio anche alla Campania se Caldoro batterà De Luca), non sarebbe la stessa cosa.

Partita a tennis o vittoria di misura
Nel migliore di risultati (6-1, o un difficilissimo 7-0?) il centrosinistra ai tempi di Renzi dominus avrebbe il dominio assoluto delle regioni, anche se due tra quelle più ricche-popolose-importanti (Lombardia e Veneto) resterebbero in mano a governatori della Lega con maggioranza di centrodestra. Nel caso peggiore, pur restando maggioranza, il centrosinistra si troverebbe con 4 regioni di peso in meno (Lombardia, Veneto e nel caso anche Campania e/o Liguria). E allora le cose cambierebbero, e parecchio.

Tra Agenas e Comitato di settore
Perché dopo il 31 maggio si rifaranno tutti i conti. E cencellum alla mano si riaggiusterebbero tutti gli attuali equilibri. Tanto più che in questi anni ne è passata parecchia di acqua sotto i ponti. Con l’addio di Vasco Errani che ha legato l’impossibile, ad esempio. Mentre adesso, modificati anche gli assetti complessivi nazionali, si dovrà ritrovare un nuovo equilibrio, dove le mediazioni con i la Lega, in pratica l’unico partito di centrodestra che occupa 2 Regioni, non possono essere quelle del passato, ad esempio quando c’era Roberto Formigoni. Sono passati due anni che sembrano 2 secoli.

Ecco anche perché dopo il voto, risultati alla mano, si deciderà (a fatica) come ri-distribuire i ruoli di capofila nelle 11 commissioni della Conferenza dei presidenti, più i ruoli di guida su cooperazione, protezione civile, agenda digitale. E poi i posti in quegli enti dove le regioni hanno diritto a posti, anche se d'intesa col Governo. Un esempio per tutti: la presidenza dell'Agenas. Che, per inciso, era stato deciso di assegnare a Carlo Lusenti, ex assessore dell'Emilia Romagna, ma la cui nomina non è stata ancora ratificata dalla Conferenza Stato-Regioni. Altro posto delicato: il coordinamento del comitato di settore: chi (e a chi?) dopo Claudio Montaldo che non è più candidato in Liguria? Sarà interessante vedere cosa accadrà dopo il 31 maggio. Fino a che punto arriverà il risiko?

Fratelli-coltelli del Pd
Di sicuro al momento c'è soltanto che la presidenza di Sergio Chiamparino non la toccherà nessuno. E che difficilmente, numeri alla mano, la Lega potrà ancora trattenere a sé le 2 principali e più ambite: Affari finanziari e, appunto, Salute. Ma sulle commissioni ci sarà ressa. E parecchia. Anche tra fratelli-coltelli del Pd, tanto per non fare casi. Non è un mistero che Toscana ed Emilia non rifiuterebbero, ad esempio, la commissione Salute. Se, come non sarà impossibile, verrà sottratta al Veneto, tanto più se Zaia non avesse grandi appoggi numerici. Ipotesi scolastiche, ma non troppo. Certo è che con l'Emilia alla guida della commissione Salute,potrebbe riaprirsi la partita della presidenza Agenas. Magari toccherà a qualcuno che viene dall'Università, si mormora. Ma queste sono dicerie, al momento.

Addio Conferenze?
Le staffette in ogni caso non mancheranno. E c'è da giurare che, sia pure in modi apparentemente soffici, ci sarà battaglia. Anche per la commissione Affari finanziari, da tempo guidata dalla Lombardia. Ancora, va ripetuto, a seconda dei numeri delle urne e degli equilibri complessivi. Certo è che il Pd renziano non perderà l'occasione per far sentire il suo peso e accrescere ruolo e potere. Sia che vinca 6-1, ma anche se vincesse (o perdesse) 4-3. L’occasione è troppo ghiotta per lasciarsela scappare. Avrà in ogni caso la maggioranza, più o meno schiacciane, il Pd renziano. E conquistando il massimo possibile aggiungerebbe altre tacche di posti e di potere. Mattoncini per le elezioni nazionali, che siano nel 2018 o anche prima. Un risiko è sempre un risiko. Almeno fino a che la riforma costituzionale e l'addio al Senato – se mai si farà – non costringa a rimettere la palla al centro. Perché, a quel punto, le Conferenze non avrebbero forse più alcun senso.

E l'Intesa perde tempo
Ultimo, ma non ultimo effetto di questa sarabanda, sarà che in tanto battagliare i presidenti staranno fermi a lungo come Conferenza. Le giunte dovranno essere ricostituite, ognuna vorrà vedere le carte vecchie. E dovrà cercare di capirle, interpretarle, posizionarsi rispetto ad esse. E prima di decidere qualsiasi cosa passerà del tempo. Tanto più se ci sarà un ricambio generoso di assessori. Per la sanità l'effetto sarà di far slittare ancora più in avanti l'Intesa sui tagli col Governo. E il decreto legge annunciato. Le Regioni a quel punto avranno al massimo 5 mesi per applicare le misure. Un massacro locale. A meno che non si applichino affatto. Come a qualcuno piacerebbe.


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