Dal governo

Nuovi standard ospedalieri: il cambiamento possibile (e necessario)

di Ettore Jorio (Università della Calabria)

Il nuovo regolamento sulla “Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera” è stato finalmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (n. 127 del 4 giugno scorso).
L'evento ha registrato un ritardo notevole e colpevole, a causa dei soliti pareri e parerini (ivi compreso quello della corte dei conti) ma anche delle verosimili resistenze politiche e lobbistiche.
Alla fine, però, il parto c’è stato.
Due le riflessioni. La prima interessa l'impatto che avrà sul sistema sanitario e sulla sua sostenibilità. La seconda riguarda l'effetto sulla sanità “malata”, ossia quella in piano di rientro che, è bene ricordarlo, affligge oltre 30 milioni di cittadini. Per non parlare delle cinque Regioni commissariate.

Tra aggiustamenti e riscontri nelle Regioni disagiate
Quanto all'impatto sull’organizzazione reale della salute, in linea di massima, sarà positivo, salvo qualche necessario aggiustamento in corso d'opera, soprattutto nelle parti che scontentano, per esempio, i cardiologi. Anche l'incremento della presenza degli extracomunitari dovrà rintracciare nel provvedimento la giusta collocazione e importanza.
Le nuove regole contribuiranno, comunque, a rendere più attenta ai bisogni della periferia la collaborazione tra ospedale e territorio. Non solo. Offriranno l'occasione di rivedere quella assurda programmazione sino ad oggi “perfezionata”, nelle diverse Regioni deboli, senza riscontri reali con l'esistente geomorfologico, spesso sensibilmente condizionante, e senza alcuna rilevazione del fabbisogno epidemiologico, da sempre semplicemente e superficialmente supposto.
In relazione al secondo punto, qualche problema di troppo, fortunatamente differenziato per gravità. Diverse le soluzioni ivi individuate, responsabile anche il troppo lungo “frattempo”, con una profonda inadeguatezza nelle Regioni commissariate, che registra l'apice in Calabria. In molte di esse ci sarà da rivedere tutto, colpevoli inadeguati commissariamenti, per lo più affidati a meri burocrati, alla prima uscita nella gestione di un tema fondamentale come quello della organizzazione reale della salute. Diversi i “fumetti”, che ciascuno di noi ha nel proprio immaginario, cui si fa specifico riferimento per intendere e percepire l'assistenza. Troppo «ospedalocentrica» nel Mezzogiorno, ove l'ospedale è stato per un secolo l'unica realtà visibile cui fare esclusivo riferimento al netto di un’assistenza sanitaria che non c'è mai stata. Più equamente caratterizzata nel resto del Paese, ove le modifiche e le integrazioni sono più facili da realizzarsi.

Il futuro del sistema
La nuova Costituzione, che uscirà dalla revisione in corso in Parlamento, contribuirà a dare una mano al cambiamento in melius, con la eliminazione della competenza legislativa concorrente e la intelligente implementazione del comma 2, lettera m), dell'art. 117. Una previsione che darà modo di regolare la sanità integrata con il sociale e di riparare i tanti errori rintracciabili nelle diverse legislazioni di dettaglio, abituate a copiare dalle altre senza possedere le medesime condizioni oggettive sul piano organizzativo, strutturale e finanche culturale. Il finanziamento attraverso la metodologia dei costi/fabbisogni standard dovrà fare il resto, offrendo l'occasione ai poveri di strutture efficienti di godere di un’altrettanto efficiente perequazione infrastrutturale, sì da rendere uguali tutti ai nastri di (ri)partenza.
Ciò che cambia con il testo normativo. Più chiari e obiettivi i riferimenti per la determinazione dei posti letto, ancorché privi della necessaria considerazione della domanda riferita all'immigrazione in crescita esponenziale.
Prescindendo dall'adattamento del sistema sanitario ai parametri riferibili al tasso di occupazione al 160xmille e della degenza media inferiore ai 7 giorni, sono state individuate tre tipologie di ospedali, quasi a riproporre la (buona) distinzione vintage risalente al periodo in cui esistevano le mutue e gli enti ospedalieri. Una novità che imporrà tanti ripensamenti su quanto si è fino ad oggi supposto e su quanto si è realizzato e speso inutilmente, anche a seguito del non brillante esordio (teorico) della case della salute.

Il tutto dovrà essere rivisto tenuto conto degli ospedali di base, di 1° e 2° livello, rispettivamente garanti dell'assistenza di tre fasce di popolazione compresa tra 80mila/150mila, 150.001/300.000 e 600mila/1.200.000 abitanti. Una scansione dimensionale alla quale è da aggiungere il c.d. presidio di comunità, la cui gestione è affidata al personale infermieristico, indispensabile per smaltire la domanda di assistenza e riabilitazione altrimenti destinabile altrove. Una struttura ambivalente, utile a diminuire il carico sulla rete ospedaliera e ad allargare l'offerta dei servizi in prossimità del domicilio dei cittadini.
A ben vedere, l'applicazione del regolamento costituirà l'occasione per rivedere il sistema, sia sotto il profilo statico che dinamico, e di contestualizzarlo con l'offerta specifica “delegata” agli erogatori privati accreditati. Uno step decisivo per il futuro dei servizi sanitari regionali ma anche per le imprese e i professionisti che dovranno essere ivi (ri)coinvolti in una diversa species. Ciò in quanto le attività private esercenti la spedalità polispecialistica per acuti continueranno ad essere autonomamente attive, a cominciare dal 2017, solo se “ricche” di almeno 60 posti letto. Pollice verso, invece, per quelle inferiori ai 40 posti letto, a meno che non riescano a fondersi a tal punto da costituire un maggiore insieme.


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