Dal governo

Gutgeld e il coraggio dell’impopolarità

di Ettore Jorio (Università della Calabria)

Ottima l'iniziativa di spending review costruita da Yoram Gutgeld. Prende atto con coraggio della verità e dice ciò che altri hanno sottaciuto per non cadere nell'impopolarità. Dunque, sono apprezzabili gli obiettivi e le misure, quantomeno sul piano ideologico. Qualche dubbio rimane sul come fare, viste le incrostazioni determinate da decenni di cattiva storia del decisore politico, abituato a difendere il proprio consenso elettorale, prioritariamente assicurato dal governo della salute, abbondantemente occupata ad ogni livello. Da apprezzare la finalità di moralizzare la gestione delle aziende e dei presidi ospedalieri della Asl, tendenti alle conduzioni fallimentari perchè protagonisti di una spesa “sudamericana”, specie nel sud del Paese esteso ai soliti Lazio e Abruzzo. Interessante il ricorso ad un coordinamento consulenziale da fornire alle Regioni che si rendessero incapaci di riportare alla normalità la gestione anomala della aziende della salute. A ben vedere, un buon acconto sulla rimodulazione dell'istituto del commissariamento governativo, ex art. 120, comma 2, della Costituzione, da disciplinare a seguito delle modifiche, in corso d'opera parlamentare, dello stesso e dell'art. 117 della Carta.
Una qualche perplessità viene legittimata dalla volontà di rinviare troppo alla Conferenza Stato-Regioni, responsabile della gran parte dei ritardi e degli errori che generano molti dei guai del Paese. Ciò in quanto un siffatto genere di concertazione interistituzionale è arrivata oramai in porto, in quanto tale da ridisegnare legislativamente, dal momento che si porta dietro la sua inadeguatezza e l'esercizio di ruolo stravolto rispetto a quello cui era stata originariamente destinata.
Un addendum. Non affronta il problema della ineludibile ristrutturazione del rapporto medico di famiglia/assistito, omettendo così il vero problema, causa del progressivo incremento della spesa corrente. Quella spesa fatta di troppo facile ricorso alla diagnostica, chimico-clinica e per immagini, e alla farmaceutica, di eccessiva domanda di ricovero da parte di chi non, altrimenti, cosa fare, di ingombro costante dei pronto soccorso per difetto di “assistenza di base” e così via.
In buona sostanza, anche in questa occasione sembra che si sia evitato di affrontare duramente l'inaffrontabile, il vero problema: quello che genera, a monte, il corto circuito sistemico, ove vengono stravolti gli impegni assistenziali successivi, spesso indebitamente coinvolti.
L'attuale assistenza, che per brevità si preferisce definire “di famiglia”, è divenuta sempre di più inesistente, con una caduta vertiginosa del ruolo di quella c.d. territoriale. Con questo è venuta meno l'esistenza di quella barriera professionale, pagata sull'assistibilità e non già sull'assistenza effettivamente erogata. Quella tipologia assistenziale erogata per presunzione (un x per assistito per 365 giorni all'anno, a prescindere), in quanto tale non sempre garante di ciò che dovrebbe in termini di familiarità e umanità della prestazione, di collaborazione e di reale conoscenza anamnestica dell'assistito e della sua famiglia. Una sorta di pagamento forfetario, basato su un capitale umano reso disponibile per eccessiva disponibilità prescrittiva, spesso garante esclusivamente della ripetizione acritica delle prestazioni che rendono “felice e contento” l'utente del Ssn, frequentemente affidata a una segretaria poco qualificata. Insomma, bisogna approfittare di questo per rivalutare la figura del medico di famiglia, sì da farlo divenire la maggiore risorsa del cambiamento.
Concludendo. È corretto affrontare ovunque il tema della moralizzazione della spesa pubblica, sanità compresa.

Tuttavia, è impensabile risolvere il problema specifico senza da una parte, registrare un sensibile passo indietro della politica dalla gestione della salute, ove tra l'altro ministri, assessori e commissari ad acta sogliono recitare i loro successi effimeri e nel contempo nascondere i loro costanti e innumerevoli flop, che in regioni del tipo la Calabria (e non solo) obbligano alla conta dei morti (molto) colpevoli; dall'altra, intervenire alla radice sulla disciplina organizzativa che non la garantisce più.
Quanto a quest'ultimo auspicio, bisogna prendere atto che il maggiore “trauma” economico-finanziario è rappresentato da una moltitudine di sistemi regionali inappropriati e produttivi di deficit inenarrabili, con la specialità/specificità degli Irccs che consentano a chiunque (e ove ci sono, del tipo la Lombardia che ne conta 14 dalla performance) una “buona figura”.

Il rimedio sta nel prendere atto del fallimento dell'aziendalismo, tanto da dovere individuare una nuova versione organizzativa del Ssn. Vuoi con l'agenzificazione dello stesso; vuoi con l'istituzione di una sorta di “mutua statale” posta in concorrenza con chi avrà voglia di misurarsi sul piano assicurativo entrambe garanti dell'universalismo e della gratuità assoluta nei confronti di chi viene a trovarsi in situazione di non sopportabilità dei costi relativi al suo stato cagionevole di salute. Di conseguenza, occorre abbassare la soglia dell'indigente, al quale la Costituzione garantisce l'assistenza gratuita.
La parola chiave sta nella inconcepibilità di dovere assicurare ugualmente l'assistenza gratuita a chi ha tanto e chi ha poco o nulla.


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