Dal governo

Dl Enti locali: con l’appropriatezza i medici non avranno alcun taglio (se non irrisorio)

di Stefano Simonetti

Ha fatto enorme scalpore il maxi emendamento sulla sanità del Dl sugli Enti locali, frutto dell’intesa con le Regioni e su cui il Governo ha posto il voto di fiducia in Aula alla Camera, voto atteso proprio oggi. In realtà i contenuti dell’accordo e l’entità del taglio erano noti a tutti. Insomma, era tutto scritto e concordato con le Regioni: farmaceutica, dispositivi, centrali di acquisto, assistenza ospedaliera e, ovviamente, personale. Vale però la pena fare qualche considerazione sugli interventi “punitivi” a carico del medico iperprescrittore. Partiamo innanzitutto dall'appropriatezza. È doveroso ricordare che questo principio è una delle colonne portanti del decreto 502 unitamente a quelli della dignità, bisogno di salute, equità, qualità delle cure ed economicità nell'impiego delle risorse, ma seppure principio fondamentale di riferimento da più di 15 anni, tutti la citano ma altrettanto tutti si guardano bene dal realizzarla. Che esista una certa confusione in materia lo dimostrano i proclami lanciati a caldo contro l'emendamento. Addirittura la Fnomceo ha dichiarato che in questo modo si compromette la “sostenibilità” del Ssn, intendendo evidentemente un’altra cosa (forse l'equità o l'universalità), perché è indubitabile che la norma di cui parliamo è finalizzata proprio a garantire la sostenibilità economica del sistema. I sindacati contestano la disposizione – forse più nel metodo che nel merito - in quanto il rapporto fiduciario con il paziente sarebbe fortemente a rischio a fronte dell'obbligo di rispettare parametri burocratici contenuti in un decreto ministeriale: ma è anche vero che le prime dichiarazioni ufficiali delle varie sigle sindacali sono in aperta contraddizione tra loro, a dimostrazione che qualcosa in ogni caso non funziona.

Sulla vicenda s’innesta poi tutta la complessa questione della “medicina difensiva”, buco nero di cui si sa poco e che è addirittura negato, come fenomeno, da qualcuno. Venendo ad un aspetto di dettaglio, l'art. 9-quater del decreto legge al comma 5 prevede per il medico dipendente che non si attiene alle indicazioni del decreto ministeriale «la riduzione del trattamento economico accessorio», nel rispetto delle procedure previste dal Ccnl e dalla legislazione vigenti. Quindi, in buona sostanza, si tratta di ridurre quote della retribuzione di risultato. Il richiamo alle procedure contrattuali impone però che le modalità di decurtazione siano oggetto di contrattazione integrativa (art. 4, comma 2, lettera B, punto 4, del Ccnl dell'8 giugno 2000), fermo restando che il rispetto dei canoni di appropriatezza deve essere concretizzato in specifici obiettivi da negoziare in sede di budget annuo e i risultati finali – compresi i comportamenti non conformi – devono passare al vaglio dell'Oiv. Inoltre «le condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza» devono essere definite da un decreto ministeriale più o meno entro il prossimo settembre: ebbene, se si fa riferimento ai precedenti atti ministeriali (standard ospedalieri, stabilizzazione precari, fondo assicurativo) si può ipotizzare che il Dm si potrà vedere tra un paio di anni. Mi sembra che ci siano abbastanza paletti per ipotizzare che di questa misura punitiva non se ne vedrà l'ombra. Un'ulteriore considerazione va fatta sull'entità della eventuale riduzione. È notorio che il fondo per il risultato è in assoluto la componente salariale più ridotta, grazie a politiche sindacali che nel tempo hanno depauperato un fondo altamente aleatorio e discrezionale, mai piaciuto ai sindacati e agli stessi medici. Lo sanno gli estensori della norma che la media pro-capite della retribuzione di risultato consiste in poche centinaia di euro ? Va anche detto che tale riduzione non genera affatto un risparmio per l'azienda ma ha solo un effetto di deterrenza: le quote eventualmente non assegnate rimangono infatti nel fondo contrattuale specifico con la conseguenza che ne beneficiano i colleghi “virtuosi”. Tra l'altro i comportamenti prescrittivi più a rischio sono semmai quelli dei medici convenzionati (medici di medicina generale e specialisti ambulatoriali) per i quali le procedure della convenzione semplicemente non esistono e, soprattutto, le quote variabili sono di entità ancora minore della retribuzione di risultato della dirigenza. E allora come potrà essere credibilmente - e serenamente – applicato il successivo comma 6 laddove si profila la responsabilità del direttore generale per «la mancata adozione (…) dei provvedimenti di competenza»? Insomma, la norma in questione non consente risparmi, è estremamente complicata da applicare e ha avuto per ora il solo effetto di alzare ad altissimo livello la tensione tra tutti gli addetti ai lavori. Tornando alla questione della medicina difensiva, proprio per raffreddare i conflitti non poteva essere inserita nell'art. 9-quater una norma di salvaguardia a tutela del medico prescrittore “conforme” ? Si poteva, ad esempio, inserire all'art. 3 della legge 189/2012 (la cosiddetta legge Balduzzi) - laddove si esclude la responsabilità penale - dopo le parole «si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunita' scientifica» le parole «nonché al decreto di cui all'art. 9-quater, comma 1 del decreto legge (...)».
Più interessante e tecnicamente ben scritta è invece la disposizione di cui all'art. 9-quinquies che stabilisce la riduzione permanente delle risorse accessorie in conseguenza della soppressione di strutture complesse e semplici conseguenti all'applicazione degli standard. Va peraltro ricordato che i risparmi attesi si potranno realizzare soltanto a condizione che i titolari delle strutture soppresse vadano contestualmente in pensione altrimenti le clausole di salvaguardia del contratto collettivo consentiranno di mantenere il medesimo trattamento economico con la sola eccezione ovviamente dell'indennità di struttura complessa.


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