Dal governo

I vincoli e le promesse della legge di Stabilità

di Guido Gentili (da Il Sole-24 Ore del Lunedì)

Un Documento di economia e finanzia (Def) aggiornato non è una verità scolpita nella pietra. La legge di Stabilità 2016 deve essere scritta, così come – una volta che la manovra sarà approvata e trasmessa dal governo e alla Commissione europea, il 15 ottobre - la partita con Bruxelles sulla flessibilità di bilancio deve ancora entrare nel vivo del negoziato.

Bisogna partire dal dato di fatto che siamo solo alla prima tappa introduttiva di un percorso comunque faticoso, se non si vuole scivolare nell'imbuto dei giudizi contrapposti: di qui la prospettiva che l'Italia non solo è uscita dalla recessione ma che si è già avviata sulla strada di una crescita forte e stabile; di là la convinzione che i conti pubblici non torneranno e che la manovra si rivelerà un flop e andrà ad allungare la lista delle “occasioni perdute”, un capitolo che la storia italiana conosce bene.

Sono peraltro tante e tali le sole variabili esterne da prendere in considerazione che un verdetto, positivo o negativo che sia, potrebbe essere buono solo per discorsi da bar. Basta dare un'occhiata alle previsioni non confortanti sul commercio mondiale, o interrogarsi sull'impatto che avrà l'emergenza migranti o la vicenda Volkswagen. Le ripercussioni in questo caso non sono solo industriali (negative) ma investono la leadership “rigorista” tedesca in Europa e nel sistema di governance dell'eurozona, e dunque in quel reticolo di regole (prima fra tutte quella sulla riduzione debito, con i tagli previsti tra il 2016 ed il 2018 ma molto centrati sulla scommessa dell'aumento del Pil) che interessano l'Italia molto da vicino. Di fatto, un'agibilità di bilancio maggiore potrebbe arrivare anche per questa via del tutto imprevista. Ma su un punto, al di là della contabilizzazione dei rischi e delle opportunità e della stessa pioggia di numeri che è iniziata con la presentazione del Def aggiornato, bisogna essere chiari: è impossibile immaginare qualsivoglia traiettoria di crescita vera se gli investimenti non si rimetteranno in moto. Vale per il settore privato, che già sta mostrando un recupero e che è atteso a un impegno ancora maggiore. E vale soprattutto per il settore pubblico, in particolare nel campo delle infrastrutture, materiali o digitali che siano – abbiamo di entrambe necessità assoluta - col suo più rapido e incisivo effetto-leva (se confrontato ad esempio alla politica dei sussidi). Alla voce «spese in conto capitale» della Pa, centrale e periferica, il nuovo Def ha previsto una diminuzione nei prossimi quattro anni del 10,4 per cento. La notizia è a ben vedere una non-notizia, nel senso che quando i governi e i parlamenti di ogni genere e colore si sono visti costretti a mettere mano alla riduzione della spesa pubblica hanno finito sempre per battere la strada più facile, sacrificando il futuro e privilegiando il presente, non tagliando la spesa corrente e aumentando le tasse (ma ora il governo Renzi promette che queste scenderanno).

Le «spese in conto capitale» non sono un'astrazione. Parliamo di cose reali, come le strade o le sempre invocate opere anti-dissesto idrogeologico, che ri-diventano d'attualità a disastro consumato. Ora questo capitolo è di nuovo sul tavolo del governo, delle Regioni, dei Comuni. Come spieghiamo in queste pagine, nel 2016 si rischia ancora di più per l'entrata a regime delle regole sul “pareggio di bilancio” messo in Costituzione nel 2012 con un consenso larghissimo e con tempi record che hanno sacrificato un dibattito più approfondito. Così, abbiamo il paradosso che mentre si va – grazie al negoziato con Bruxelles - verso il rinvio al 2018 del pareggio di bilancio nazionale, a livello interno il pareggio di Regioni ed enti locali scatta l'anno prossimo, con le conseguenze di “stretta” che possiamo facilmente immaginare. Gli investimenti, invece di salire, potrebbero fermarsi del tutto. Uno stallo che va evitato nei tempi e nei modi più rapidi possibili.


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