Dal governo

Che fine ha fatto il Piano sanitario nazionale?

di Maria Giuseppina La Falce

Il Piano sanitario nazionale è il principale strumento di programmazione sanitaria mediante il quale, in un dato arco temporale, vengono definiti gli obiettivi da raggiungere, attraverso l’individuazione di azioni e di strategie strumentali alla realizzazione delle prestazioni istituzionali del Servizio sanitario nazionale. Esso rappresenta quindi il primo punto di riferimento per ogni riforma e iniziativa riguardante il sistema sanitario, sia a livello centrale sia a livello locale.

È attraverso il Piano sanitario nazionale che lo Stato stabilisce le linee generali di indirizzo del Servizio Sanitario Nazionale, nell’osservanza degli obiettivi e dei vincoli posti dalla programmazione economico-finanziaria nazionale, in materia di prevenzione, cura e riabilitazione, nonché di assistenza sanitaria da applicare conformemente e secondo criteri di uniformità su tutto il territorio nazionale.

Si può pensare di sostituirlo con Intese, Accordi, Patti in sede di Conferenza Stato-Regioni? È notizia recente che la Conferenza discuterà l’Accordo sulle linee progettuali per la realizzazione da parte delle Regioni degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale per l’anno 2014 indicati, a norma di legge, dal Piano Sanitario Nazionale, ma quale Piano?

Vale la pena di ricordare il primo Piano sanitario nazionale approvato dopo le modifiche apportate al Titolo V della Costituzione, con il Dpr 23 maggio 2003, ha rappresentato il primo punto di equilibrio di un patto “federale” tra Stato e Regioni in sanità, preceduto da una proposta formulata dalle Regioni in sede di “autocoordinamento” che ne delineava le linee generali tenuto conto del nuovo quadro istituzionale e del ruolo assegnato allo Stato e alle Regioni.

Con tale proposta le Regioni valutarono i contenuti che potessero far parte del Piano previsto dal Dlgs 502/1992 alla luce delle modifiche intervenute al Titolo V della Costituzione, mentre per gli aspetti inerenti indicazioni organizzative ormai pertinenti al livello delle competenze regionali ovvero inerenti esemplificazioni di possibili modelli assistenziali ed organizzativi, ne proposero l’adozione con accordi da approvare in sede pattizia e complementare al Piano stesso nella Conferenza.

Il successivo accordo Stato-Regioni del 24 luglio 2003 per l’attuazione del Piano, individuò gli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale, oggetto di successivi progetti di ricerca da parte delle Regioni. Il successivo Piano sanitario nazionale 2006-2008, tuttora vigente, è stato approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2006. In seguito furono avviati, nella primavera 2010, i lavori per la predisposizione del successivo Piano sanitario nazionale, che venne approvato, in via preliminare, dal Consiglio dei ministri il 21 gennaio 2011. L’iter ne prevedeva l’acquisizione dell’intesa da parte della Conferenza unificata ai sensi di legge. In tale sede, nella fase di istruttoria tecnica, i rappresentanti delle Regioni e degli enti locali, avanzarono proposte emendative e pertanto il ministero della Salute trasmise una nuova versione del Piano nel mese di luglio 2011 sulla quale risultavano acquisiti i pareri delle organizzazioni sindacali. Nel contempo si esprimeva anche la XII Commissione permanente del Senato della Repubblica.

L’esame del provvedimento, nella seduta della Conferenza unificata del 27 luglio 2011, fu rinviato su richiesta dei Presidenti delle Regioni, in quanto furono presentate ulteriori proposte emendative alla valutazione del ministero della Salute.

L’intesa sullo schema di Piano sanitario nazionale 2011-2013 fu espressa dalla Conferenza Unificata il 22 settembre 2011. In data 8 novembre 2011, anche la XII Commissione permanente della Camera dei Deputati espresse il proprio parere, tuttavia l’ter del provvedimento non si completò con l’approvazione definitiva del Consiglio dei ministri e l’adozione del successivo decreto del Presidente della Repubblica.

Il Piano vigente resta quello approvato con il Dpr 7 aprile 2006 e la programmazione sanitaria nazionale si è fermata a tale data.

E oggi quale impatto ha sul sistema sanitario nazionale la mancanza di un Piano sanitario nazionale, che costituisce l’unico strumento di coordinamento delle politiche sanitarie, tale da garantirne l’uniformità di applicazione sul territorio nazionale anche con riferimento ai Livelli essenziali di assistenza, in funzione anche della forma giuridica di approvazione con decreto del Presidente della Repubblica?

Il seguito è nei fatti o meglio nel novero numeroso di Accordi Stato-Regioni e Unificata, Intese e Patti della salute o meno. Tali strumenti “negoziati” hanno risposto alle esigenze immediate del Governo e delle Regioni dopo le modifiche apportate al Titolo V della Costituzione nel 2001.

La Conferenza ha rappresentato la sede di garanzia dove, nella fase transitoria, immediatamente seguente all’entrata in vigore della legge n.3/2001, è stato possibile mediante “accordi”, sanciti, in senso pattizi, superare numerose questioni giuridiche legate all’esercizio della potestà regolamentare. Negli anni 2002-2003 immediatamente successivi furono sanciti 53 accordi in materia di sanità.

In particolare la Conferenza unificata era stata eletta con l’Accordo del 20 giugno 2002 di intesa inter-istituzionale tra Stato, Regioni ed Enti locali la sede di confronto per realizzare con un impegno comune il processo di adeguamento alle nuove disposizioni costituzionali, avendo come riferimento i principi del pluralismo autonomistico e di sussidiarietà. L’accordo sanciva reciprocamente, in relazione ai poteri legislativi assegnati, la necessità di individuare e delimitare i rispettivi ambiti di competenza, anche al fine di prevenire e limitare il contenzioso costituzionale.

In realtà l’assenza della prevista legge di principi attuativa dell’articolo 117 con riferimento alla materia “tutela della salute” ha solo visto un proliferare crescente di questi strumenti cosiddetti pattizi, che, a guardare indietro nell’ultimo decennio, non hanno espresso un processo coordinato di programmazione sanitaria, mancando una fonte programmatoria di riferimento sui nodi strategici del sistema come l’effettiva erogazione dei livelli di assistenza e il loro monitoraggio e valutazione nel rispetto dell’appropriatezza, dei tempi di attesa, così come su una valutazione di processo e di risultato.

Resta da chiedersi quale sia il livello di consapevolezza di questa scelta e quale limite trovi oggi la predisposizione di un piano sanitario nazionale, a fronte delle modifiche che il nuovo Titolo V della Costituzione apporterà nel sistema sanitario nazionale.


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