Dal governo

I costi standard sono costi giusti? Dipende

di Emanuele Vendramini (professore associato Università Cattolica del Sacro Cuore - sede di Piacenza)

Nonostante il sistema sanitario nazionale abbia i conti in ordine da almeno due anni e produca anche qualche centinaio di milioni di avanzo (rapporto Oasi Bocconi 2014) continua il pressing sul tema del controllo dei costi perché si pensa che il Ssn sia inefficiente. Nello specifico con l’approvazione della legge 42/2009 si passa dal criterio del costo storico a quello del costo standard. Nella Norma vengono definiti i due termini nel seguente modo: (cfr sito Sna, scuola nazionale di amministrazione):

- «Costo storico: indica quanto storicamente si è speso per un determinato servizio. In passato si è seguito il criterio del costo storico: quanto veniva trasferito alle varie Regioni sotto forma di trasferimenti dipendeva da quanto una Regione aveva speso nell’anno precedente.

- Costo standard: indica il costo di un determinato servizio, che avvenga nelle migliori condizioni di efficienza e appropriatezza, garantendo i livelli essenziali di prestazione. Secondo quanto sancito nella legge 42/2009 il costo standard è definito prendendo a riferimento la Regione più “virtuosa”, vale a dire quella Regione che presta i servizi ai costi più efficienti».

Sembra quindi una soluzione perfetta che garantisca attraverso un tecnicismo di portare o riportare il Ssn verso logiche di efficienza; purtroppo cosi non è e provo a illustrare il perché.

Primo: si fa confusione tra spesa e costo. La spesa e il costo non sono la stessa cosa, la spesa è quante risorse finanziarie utilizziamo per acquisire un bene o un servizio mentre il costo è l’utilizzo di fattori produttivi per la produzione di un bene o servizio. Per capirci la spesa è acquistare la ricarica di un cellulare ma sostengo un costo solo quando utilizzo il cellulare. Dal punto di vista contabile la questione non è di poco conto e quindi dal punto di vista manageriale pure. Secondo: dire che una Regione è virtuosa se presta i servizi ai costi più bassi è molto pericoloso perché potrebbe indurre le strutture a occuparsi solo dei pazienti meno complessi e meno costi, dei farmaci a brevetto scaduto e non quelli contro l’epatite C, notoriamente molto costosi.

Non si vuole certo dire che i criteri di efficienza non siano necessari ma non sono gli unici e certamente in sanità non sono i più importanti. È chiaro ed evidente che per la sanità il vero criterio sia l’efficacia, cioè la bravura degli operatori, la capacità di curare i malati ovviamente con il vincolo delle risorse e il corretto utilizzo dei fattori produttivi (anzi il vero tema dei prossimi anni è la clinical compentence, cioè se i professionisti producono volumi tali da poter garantire competenze, si veda ad esempio la strarodinaria ricchezza del Piano nazionale Esiti in questo senso). Se passasse la logica che una Regione è virtuosa perché è efficiente passerebbe un concetto in cui la misurazione delle performance di un ospedale debba essere solo finanziaria cioè sulla spesa e penso che non siano molti d’accordo. I costi standard ammesso che abbiano un senso in sanità porterebbero a una enfasi economicista derivante dall’errata idea che esista un costo giusto.

Terzo: cosa si intende per costo delle prestazioni? Esiste un modo oggettivo per calcolare il costo di produzione di un prodotto? La risposta è no. Alla domanda quanto costa una tac? Quanto costa una risonanza? La risposta è dipende, dipende da come imputo i costi indiretti (cioè non direttamente imputabili all’oggetto di costo), dipende da tanti fattori, dipende da come costruisco il mio sistema di contabilità analitica.

Senza entrare in inutili tecnicismi è importante sottolineare come non esista un costo giusto e certamente non lo sia il costo standard. Banalmente il costo di produzione dipende da tante variabili, dipende dalla logistica del paziente, dipende dal case mix di quell’ospedale, appunto dipende. Qualcuno però potrebbe dire che non è possibile che il costo di gestione di un paziente con frattura di femore debba essere diverso da ospedale a ospedale: come non è possibile? È ovvio ed evidente che non può che essere così: basti pensare che ci sono ospedali a padiglioni e ospedali monoblocco, ospedali in montagna e ospedali in città, ospedali grandi e ospedali più piccoli, questi avranno costi di funzionamento diversi. Chi è convinto che se una prestazione (una risonanza ad esempio) costi meno in una struttura sia necessariamente meglio? Magari costa meno solo perché ha una macchina più obsoleta e meno precisa, o ha meno personale (e non è necessariamente meglio).

Gli argomenti mi sembrano quindi sufficienti per sostenere che i costi standard in sanità siano una semplificazione di metodo utilizzata solo in parte e per altri con molti accorgimenti da imprese che fanno bulloni, scarpe, prodotti in serie cosa molto distante dalla gestione di un anziano non autosufficiente che vive in una vallata o in una periferia delle nuove città metropolitane. Questo non vuol dire che non si debbano tenere i costi sotto controllo anzi, ma che lo si deve fare riscoprendo le logiche e le tecniche di una economia aziendale che ha appunto nel concetto di azienda la sua centralità.

Da ultimo è importante evidenziare come, di solito, di fronte a queste argomentazioni su tema dei costi standard vi sia sempre chi porti l’esempio della siringa e di come non sia possibile che una siringa abbia costi cosi diversi nei differenti contesti nazionali. Verissimo, peccato però che quello che noi attribuiamo alla siringa non sia un costo ma un prezzo di acquisto. La cosa non è da poco perchè allora la questione non è di contabilità dei costi ma di politiche di acquisto che sono tutta un’altra cosa e riguarda a come si fanno le gare di acquisto dei beni e dei servizi, che ci impone di riflettere sull’efficacia di Consip e a come si fanno le gare d’appalto in Italia. Ma questo è un altro tema.

Emanuele Vendramini

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