Dal governo

Stabilità 2016: tutela della salute non pervenuta

di Elio Borgonovi (professore ordinario dipartimentodi Analisi delle politichee management pubblico - Università Bocconi presidente Cergas)

Leggendo il testo della Legge di Stabilità per il 2016 sorge il fondato dubbio che gli sforzi del ministro Lorenzin di mantenere alta l’attenzione sul tema della tutela della salute non abbiano prodotto per ora sostanziali risultati. Si potrebbe addirittura dire che la proposta del Governo scontenta tutti, sia chi puntava su una spending review più incisiva, sia chi cerca di difendere il modello di Ssn che, nonostante tutte le critiche, garantisce indicatori di salute che pongono l’Italia ai primi posti (in senso positivo) a livello mondiale se rapportati alla spesa pubblica e alla spesa totale (pubblica più privata).

Venendo ai dati, la prima cifra che salta agli occhi è l’ammontare di 111 miliardi come fondo destinato a coprire il fabbisogno di salute. A parte la cortina di fumo creata da chi discute sul fatto che questa cifra non derivi da tagli veri ma solo dal mancato riconoscimento della spesa tendenziale o che sia la conseguenza della spending review finalizzata a ridurre prestazioni inappropriate, sprechi, inefficienze, sul piano contabile, è inconfutabile dover riconoscere che si tratta di un -4,062 miliardi rispetto a quanto previsto nel Patto per la salute stipulato tra Stato e Regioni il 10 luglio 2014 e di un livello di spesa poco superiore (circa 1 miliardo rispetto alla spesa del 2009).

Se poi si considera che il comma 3 dell’articolo 42 recita: «Per l’attuazione del comma 1 (aggiornamento o ridefinizione dei Lea), per l’anno 2016 è finalizzato l’importo di 800 milioni, a valere sulla quota indistinta del fabbisogno sanitario standard nazionale», il finanziamento da considerare a parità di condizioni è pari a 110,2 miliardi.

Anche se è vero che nei sette anni trascorsi dal 2009, il tasso di inflazione è stato basso o addirittura negativo, nessuno può contestare che in questo lasso di tempo il progresso scientifico e tecnologico ha fatto passi da gigante e che quindi vi è stata una ulteriore strutturale pressione sull’aumento della spesa. Senza considerare le accresciute aspettative dei pazienti determinate anche da un più facile accesso alla rete che consente di essere informati sulle nuove possibilità di diagnosi, cura, riabilitazione, si può logicamente sostenere che il «mancato riconoscimento della spesa tendenziale» sia stato superiore ai 4,862 miliardi derivanti dalla mera sottrazione contabile (115,062 miliardi - 110,2 miliardi).

Tale mancato riconoscimento rispetto alla spesa tendenziale può essere spiegato in tre modi: aumento delle addizionali regionali obbligatorie per le regioni in disavanzo e facoltative per le Regioni che hanno comunque deciso di garantire soddisfacenti livelli assistenziali, recupero di efficienza e lotta agli sprechi e alla corruzione, riduzione dei livelli essenziali di assistenza effettivamente garantiti.

Chi continua ad affermare che gli sprechi, le inefficienze, le prestazioni inappropriate non sono stati intaccati e che sono possibili ulteriori tagli di 10-15 miliardi (mi è capitato addirittura di sentir citare la mirabolante cifra di 20 miliardi) in 3-5 anni, dovrebbe coerentemente ammettere che la situazione sia stata affrontata con la riduzione dei livelli essenziali di assistenza o con un aumento delle addizionali regionali.

In questo quadro va collocata la polemica di questi giorni tra il governo e le regioni sul possibile divieto alle regioni di aumentare la pressione tributaria. Oppure gli stessi analisti dovrebbero spiegare con quale logica sia possibile far coesistere un livello di spesa pubblica pari al 6,8 per cento del Pil (significativamente inferiore a quella dei più grandi Paesi europei e alla quota di spesa pubblica degli Stati Uniti), indicatori di salute (durata di vita attesa, mortalità infantile eccetera) migliori o in linea con gli altri Paesi progrediti, elevati livelli di inefficienze, sprechi e corruzione.

Se fosse così bisognerebbe concludere che Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna e Paesi del nord d’Europa, Paesi che spendono di più e hanno indicatori di salute peggiori, hanno un livello di sprechi e inefficienze di molto superiore all’Italia.

Di fronte a queste cifre, gli articoli della legge che riguardano la sanità sono pieni di indicazioni generiche (lotta alla inappropriatezza, piani di riorganizzazione eccetera) o che erano già previste nel Patto per la salute e nelle precedenti leggi di stabilità e che non sono state attuate (ad esempio revisione dei Lea, istituzione di un’agenzia per l’Hta eccetera).

In conclusione si può dire che una volta il consenso si basava sulle quattro «S»: soldi, sesso, salute e sicurezza. Posto che il sesso non è oggetto specifico delle leggi di stabilità si può dire che per il 2016 il governo abbia puntato sui soldi, quasi niente sulla salute e poco anche sulla sicurezza.

Elio Borgonovi

© RIPRODUZIONE RISERVATA