Dal governo

Smart health, una sfida da 7 miliardi

di Rosanna Magnano

Scarsa interoperabilità dei sistemi di e-health sperimentati a macchia di leopardo a livello regionale, telemedicina in ritardo per la mancata diffusione della banda larga, accesso a ostacoli all’immenso patrimonio dei big data. Sono queste le battaglie temporaneamente perse o forse le sfide ancora da vincere della sanità digitale made in Italy. Una partita che giocata bene consentirebbe di risparmiare 6,9 mld di euro (Osservatorio Netics). Qualche esempio: incrocio e analisi dei dati epidemiologici supporterebbero i medici verso una riduzione della medicina difensiva e delle prescrizioni inappropriate; telecure domiciliari e tecnoassistenza abbatterebbero i costi delle giornate di ricovero per i pazienti acuti e in riabilitazione. Il condizionale per ora è d’obbligo. Ma ripensare il sistema socio-sanitario in chiave digitale è ormai una «necessità» acclarata e urgente. A fare il punto la giornata di lavori sulla «Smart health», organizzata oggi al museo Maxxi di Roma da Fpa con il sostegno non condizionato di Fondazione Msd.

L’emergenza è già in corso. La popolazione invecchia e aumenta la spesa sanitaria pubblica: solo per quella collegata ai “servizi di lunga assistenza” si stima una crescita di circa 6 miliardi l'anno di qui al 2060. «Nel settore della sanità e del welfare dobbiamo programmare oggi con un occhio a quello che avverrà tra qualche anno, quando avremo una società con più persone anziane e malati cronici - spiega la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin -. In questo contesto la tecnoassistenza è una scelta necessaria, tanto che sarà inserita all'interno dei Livelli essenziali di assistenza. Già oggi ci sono esperienze avanzate in diverse Regioni. Immaginiamo poi cosa si potrà fare in futuro grazie alle tecnologie. E se è vero che la sanità digitale ci farà risparmiare circa 6 miliardi di euro l'anno, soprattutto ci farà guadagnare il triplo in termini di servizio reso». La priorità è superare l’attuale frammentazione: «La stessa - continua Lorenzin - che caratterizza tutto il sistema sanitario nel nostro Paese. I sistemi informativi ad esempio sono differenti tra Regione e Regione, a volte anche tra azienda ed azienda. Col ‘Patto per la sanità digitale' abbiamo sancito la necessità di avere un unico linguaggio digitale. Ma dobbiamo andare oltre, soprattutto sul tema dei dati, un grande patrimonio che però non riusciamo ancora a mettere a sistema. La parola d'ordine è standardizzare i processi: avere a disposizione i dati e poterli confrontare e analizzare a livello nazionale è fondamentale».

Un Patto digitale ancora nei cassetti delle Regioni (così come restano nell'incertezza gli investimenti necessari a realizzarlo) ma che dovrebbe vedere finalmente la luce a primavera. Così almeno assicura Massimo Casciello, Dg del sistema informativo e statistico sanitario nazionale del ministero della Salute: «È in Conferenza Stato Regioni, ne abbiamo discusso a dicembre, hanno chiesto alcune modifiche, che stiamo condividendo con la Regione Emilia Romagna. Dopodiché dovrebbe andare in Conferenza unificata ed essere licenziato entro marzo, massimo aprile». Poi tre step. «Un monitoraggio rapido tra le Regioni di quanto è stato fatto, della qualità dei servizi erogati, dei vantaggi eocnomici e di salute - continua Casciello - attraverso una modulistica ad hoc. Queste sperimentazioni diventeranno modelli a disposizione delle altre amministrazioni. Poi individueremo stakeholder privati interessati al cofinanziamento dei progetti e apriremo dei tavoli. E le Regioni che presentano le sperimentazioni dovranno individuare anche delle tariffe provvisorie. Due anni di test e poi la verifica. In questo modo se il progetto funziona, attraverso i comitato Lea la practice diventa sistemica ». Insomma le esperienze maturate sul campo vanno capitalizzate. E i fondi pubblici? «Non ci sono fondi aggiuntivi - spiega Casciello - ma la spesa va rivista. I soldi derivano dallo spendere meglio».

Insomma le esperienze maturate sul campo vanno capitalizzate.«Grazie agli sforzi dello Stato e delle Regioni degli ultimi anni, e all'Agenda Digitale – sottolinea Lino Del Favero, Dg Istituto Superiore di Sanità – cominciano ad esserci le infrastrutture principali: fascicolo, prescrizioni, certificati. Adesso è possibile gestire bene i Pdta, i percorsi clinico-assistenziali: occorre partire da iniziative locali circoscritte e quindi ragionevolmente gestibili, ma con uno sguardo ad un percorso pluriennale complessivo, regionale, nazionale ed europeo».

Il tema centrale in questo settore è una buona valutazione dell’impatto delle tecnologie, attraverso un sitema coordinato di Health technology assessment. «Per verificare sia nella fase di sperimentazione - spiega Paolo Bonaretti, consigliere del ministero dello Sviluppo economico - che in real live l’efficacia delle tecnologie (farmaci, dispositivo o altro) è necessario poter gestire grandi quantità di dati, ma soprattutto avere dati qualitativamente molto alti. Quindi Big data, potenza di calcolo, qualità e interoperabilità del dato sono temi fondamentali che vanno al di là del concetto classico di telemedicina, ma costituiscono il substrato fondamentale su cui collocare una sanità innovativa».

Intanto la telemedicina - opzione fondamentale per una gestione sostenibile della cronicità - è rimasta finora fanalino di coda. Viaggia lentamente, lungo sentieri stretti. Serve l’«autostrada digitale». «Tra gli strumenti da mettere in atto - spiega Federico Gelli (Pd), membro della Commisione Affari Sociali della Camera dei Deputati - c’è una maggiore digitalizzazione degli ospedali, il potenziamento della banda larga, perché senza banda larga non è pensabile fare telemedicina. Con le punte di eccellenza che abbiamo in Toscana, le nostre aziende ospedaliero univeristarie potrebbero tranquillamente erogare assistenza a distanza, tra le popolazioni che vivono in aree montane o nelle isole, spesso però questo non è possibile perché vanno potenziate le infrastrutture. Per esempio per far viaggiare le immagini, che sono informazioni pesanti. E le ultime scelte del presidente del Consiglio vanno in questo senso. Non servono ulteriori incentivazioni. Un altro passo avanti è stato fatto nella legge sul rischio professionale, in cui anche la telemedicina fa parte integrante dell’atto sanitario. Fare un telereferto non è come fare una visita, ma con questa legge diamo dignità e ruolo anche alla telemedicina, cosa che oggi è solo negli atti di indirizzo».

L’invecchiamento della popolazione presenta il conto
Secondo il rapporto 2015 “Ageing: Debate the Issues” dell'Ocse il 12% della popolazione mondiale ha più di 60 anni, nel 2050 la percentuale salirà al 21%: parliamo di 868 milioni di persone oggi, contro 2,4 miliardi nel 2050. A livello italiano, il Bilancio Demografico Istat, presentato nel giugno scorso, parla di un Paese con una popolazione sempre più vecchia (età media 44,4 anni) e con un inesorabile crollo delle nascite (-12mila nati rispetto al 2013). La popolazione anziana (65 anni e oltre) è pari al 21,7% del totale (quasi un punto percentuale in più rispetto al 2011) e quella di 80 anni e più è arrivata nel 2014 al 6,5%. E secondo il Report Istat “Il futuro demografico del Paese: previsioni regionali della popolazione residente al 2065” (dicembre 2011) nel 2050 gli ultra 65enni in Italia saranno il 33,1% sul totale.

Più anziani significherà, per esempio, un maggior numero di persone con problemi di autosufficienza e malattie croniche e, quindi, una spesa maggiore per le voci di Long term care (Ltc), comprensivi di una componente sanitaria e di una di servizi socio-assistenziali.

Secondo la Ragioneria Generale dello Stato la componente sanitaria della spesa pubblica per Ltc, nel 2014 pari allo 0,84% del Pil (12,2% della spesa sanitaria complessiva), nel 2060 raggiungerà l'1,26%, con un aumento di circa 6 miliardi di euro l'anno.

Per rispondere alla sfida, il Ssn deve riorganizzarsi e reperire risorse. E proprio dall'applicazione delle tecnologie digitali alla sanità potrebbero derivare risparmi per le casse pubbliche di 6,9 miliardi di euro l'anno. Cifre simili arrivano dalla Ricerca dell'Osservatorio School of Management del Politecnico di Milano: l'adozione della cartella clinica elettronica consentirebbe risparmi fino a 1,6 miliardi di euro l'anno (in caso di dematerializzazione completa delle cartelle); la diffusione di servizi digitali per i cittadini (come il download dei referti via web, la prenotazione online di esami/visite o degli accessi al centro prelievi, anche tramite App e totem self service all'interno di strutture come farmacie e supermercati) permetterebbe un risparmio fino a 350 milioni di euro all'anno alle strutture sanitarie, e ben 4,9 miliardi di euro ai cittadini; infine importanti benefici si otterrebbero dai servizi web che consentono alle Asl e alle farmacie territoriali di gestire la distribuzione dei presidi di assistenza integrativa.


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