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Piani di rientro in corsia/ Ripa di Meana (Fiaso): «L’ultimo miglio del risanamento. Poi serviranno nuovi investimenti per promuovere il Ssn»

di Barbara Gobbi e Rosanna Magnano

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24 Esclusivo per Sanità24

Esclusiva. «È un evento epocale. Il tentativo di aggredire, finalmente, l’ultimo miglio di una tenuta complessiva del sistema, intervenendo lì dove sono presenti situazioni non sufficientemente governate di disallineamento tra costi e ricavi. Mi sembra doveroso e noi come Dg ci dobbiamo stare». La bozza di decreto del ministero della Salute che detta le linee guida per i piani di rientro negli ospedali in rosso è promossa a pieni voti da Francesco Ripa di Meana, presidente della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso).

Le aziende candidate dal decreto al piano di rientro non sono poche, circa una su due...
L’inidividuazione delle aziende da risanare è tipicamente una prerogativa di ministero e regioni. Ma al di là del percorso previsto dalla normativa, io come direttore generale, anche se non fossi in piano di rientro, guarderei a quel decreto come a un’occasione per rendere più efficiente il mio bilancio. Gran parte dei contenuti del provvedimento sono già stati sperimentati in molte aziende sanitarie. Questo decreto non è una mina vagante nel nulla. Non siamo all’anno zero: la novità è che ora riguarda tutti. Molto interessante è la modulazione degli obiettivi per classi di gravità dello scostamento: la partenza è più difficile per uno che parte molto male e che quindi va agevolato. Questo riconoscimento raramente c’è stato, per il manager. In questo decreto si è fatto un grande sforzo per mettere insieme un po’ di cultura manageriale.

Intanto però se l’operazione non va in porto il Dg viene licenziato
Il nostro obiettivo non può essere non fare licenziare il direttore generale. Il decreto va visto come un’opportunità manageriale. Quello che è chiaro è che molte delle cose indicate, come chiudere unità operative o presidi troppo piccoli, coinvolgono la politica, che rappresenta la proprietà, e non possono essere fatte senza la regione. Non sono nel potere del manager. D’altro canto molti disavanzi e storture hanno delle basi storiche, di relazioni tra aziende all’interno del sistema sanitario regionale. Non possiamo fare la pagella dei buoni e dei cattivi. È un grande cantiere nazionale ma quando sono necessari, i tagli strutturali li può fare solo il sistema, non il singolo manager.

Non si può non notare che ci sono regioni come l’Emilia Romagna, che non ha neanche un’azienda in difficoltà e altre come la Campania in cui sono tutte da bocciare
Certo, ci sono regioni che le cose elencate negli allegati al decreto le hanno già fatte, ma alcune aziende si trovano in una situazione storicamente più facile, altre più difficile. Trascinare il problema del finanziamento storico ha coperto alcune inefficienze del sistema.

Una delle voci di costo più pesanti è quella del personale. Nel decreto si parla di blocco del turnover e di mobilità. Come si sposa questo ulteriore giro di vire con il piano di assunzioni inserito nella legge di stabilità?
Le assunzioni per l’applicazione delle normative europee sui riposi , se non si trovano risorse aggiuntive, non sono affrontabili. E le risorse aggiuntive non vengono certo dalla legge sulla responsabilità professionale, che darà i suoi frutti solo fra qualche anno. Come Fiaso abbiamo sempre detto che parlare di nuove assunzioni senza risorse è irresponsabile. Che invece ci siano margini per una razionalizzazione del personale, per chi non l’ha mai fatta, è un’affermazione che condividiamo. Ma ci sono ampie fette di aziende - quelle che ora sono meno in difficoltà - che non hanno coperto il turnover al cento per cento e si sono addirittura avvicinate allo zero per cento. Ci sono esuberi di posizioni degli ultra 65enni che sono state affrontate, e c’è stata una forte riduzione dei primari in questi anni. Laddove un’azienda in piano di rientro non ha mai fatto queste cose, e dovrà affrontarle, è ovvio che si troverà un buono spazio di manovra. Gli strumenti non sono nuovi.

Se si dovessero attuare tutte le misure, si risparmierebbero 1,8 miliardi. Quali sarebbero le priorità per il reimpiego di questi risparmi?
Sicuramente si dovrebbe investire sui servizi che hanno sofferto di più con i tagli orizzontali, come le emergenze. La seconda priorità sarebbe il turnover della tecnologia. Terzo: Innovazione, formazione e ricerca. Tutti investimenti che servono per risparmiare facendo meglio.

Invece le tre voci maggiori di spreco?
Dipende dalle aziende e dalle regioni. Sicuramente il governo del farmaco è migliore in alcune aree rispetto ad altre, sicuramente va promossa l’organizzazione integrata e non per piccoli reparti. E poi sono molto perplesso sull’idea che tutto il male sia negli ospedali: c’è molto spreco nel territorio. Con la scusa di contratti non di dipendenza, di personalizzazione dell’assistenza uno a uno con il paziente e con il problema reale dell’appropriatezza, la spesa territoriale non diminuisce da anni, mentre quella ospedaliera è stata sicuramente arrestata e il nuovo decreto dà questa ulteriore chance di razionalizzazione.

Si parla anche di qualità, con il faro del Piano nazionale esiti...
Era giusto che a un certo punto si tirassero le fila del grande processo di elaborazione svolto dall’Agenas, sancendo il principio che la scarsa qualità costa cara mentre la qualità costa meno come efficacia, non come processo.

In generale, al netto degli sprechi, il pareggio di bilancio è un buon criterio per valutare un ospedale pubblico?
Diciamo che non può essere un criterio fisso e per sempre. Il bilancio deve veder modificare negli anni i costi ma anche i ricavi . Ora ci possiamo pure concedere tre anni di cantiere per attutire le diversità, ma parlare di un unico indicatore come il pareggio di bilancio mi sembra manicheo. Mentre la ricerca di un miglior equilibrio nei conti è doverosa da parte del mangement.

Tre anni non sono un po’ stretti, per rientrare dal rosso?
Possono esserlo, nelle situazioni più gravi. Ricordiamoci che parliamo di realtà molto diverse, molti ospedali includono servizi territoriali che non dovrebbero essere i loro e non so quanto sia facile in tre anni portarli fuori. Ma si possono fare anche altri esempi: chi ha attivato il project financing, si ritrova nel bilancio, magari, rate fisse di 10-15 milioni di euro per 20 anni. Bisognerà trovare il modo di riconoscere queste diversità. Per questo Fiaso si è resa disponibile a tenere un tavolo permanente di direttori generali che osservano l’evoluzione dei piani di rientro per una diffusione delle migliori pratiche. Un tavolo del management a disposizione del sistema.

La preoccupazione è quella di un ulteriore taglio delle prestazioni...
Sarebbe sbagliato generalizzare. Se poi le regioni troveranno difficoltà, sarà il momento per una presa di coscienza. Anche il tavolo dei Lea sarà un utile luogo di riflessione, non tutto potrà restare uguale se si vorranno fare degli investimenti. Siamo in una fase molto difficile, ci auguriamo che finisca il momento della razionalizzazione e che il Paese scelga di investire nella sanità. Perché c’è un trend di crescita che non è spreco. Non si può contare su risparmi che sono solo presunti: la spending review e la revisione dei contratti di fornitura hanno prodotto risultati irrisori, ben lontani dal 10 per cento preventivato all’inizio. Se si vuole davvero crescere, al sistema servono nuove risorse. Potrebbero anche arrivare dal cosiddetto “secondo pilastro”: continuo a credere che il nostro servizio sanitario pubblico, tra i migliori al mondo, vada salvaguardato e potenziato.


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