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Aborto, Consiglio d’Europa: «L’Italia non fa abbastanza per i medici non obiettori. Diritto delle donne in bilico». Lorenzin: «Valutazioni su dati vecchi. Oggi non è così»

«Lo Stato italiano non fa abbastanza per evitare che l'obiezione di coscienza dei medici anti aborto, garantita dalla legge 194 del 1978, abbia come conseguenza la violazione della Carta sociale europea del Consiglio d'Europa, in particolare riguardo ai diritti alla salute e alla non discriminazione delle donne che vogliono interrompere la propria gravidanza». Lo ha stabilito, oggi a Strasburgo, il Comitato europeo dei Diritti sociali, un organismo del Consiglio d'Europa, rispondendo a un reclamo collettivo presentato dalla Cgil.

E non tarda ad arrivare la risposta della ministra della Salute, Beatrice Lorenzin al Comitato: «Mi riservo di approfondire con i miei uffici, ma sono molto stupita perché dalle prime cose che ho letto mi sembra si rifacciano a dati vecchi che risalgono al 2013. Il dato di oggi è diverso. Non c'è alcuna violazione del diritto alla salute», ha aggiunto Lorenzin.

Il ricorso al comitato di Strasburgo era stato presentato dalla Cgil nel 2013. Il sindacato contestava alle autorità italiane la mancata applicazione di fatto della leggge sull'interruzione di gravidanza, la 194/1978, considerandola una violazione dell'articolo 11 della Carta sociale europea (Diritto alla salute) e anche all'articolo E dello stesso documento, per la discriminazione dei medici non obiettori.

Lo Stato dovrà ora rispondere adottando delle misure correttive
Il Comitato europeo dei Diritti sociali, che ha come obiettivo il controllo dell’applicazione della Carta sociale europea, un trattato del Consiglio d'Europa adottato nel 1961 e riveduto nel 1996, non mette minimamente in discussione il diritto all'obiezione di coscienza garantito dalla legge 194, ma critica il modo in cui viene applicato nella pratica dalle autorità competenti.
Il Comitato ha constatato innanzitutto, all'unanimità, una violazione dell'art. 11 della Carta per quanto riguarda i «rischi considerevoli» per la propria salute e il proprio benessere che le donne possono incontrare quando l'accesso ai servizi ospedalieri per l'interruzione volontaria della gravidanza è reso difficile dalla carenza di personale, causata dalla non disponibilità dei medici e di altri addetti obiettori, e dalla mancanza di misure adeguate di compensazione, che non sempre le autorità regionali competenti non garantiscono in modo soddisfacente. In secondo luogo, con 9 voti contro 2, il Comitato ha rilevato una «differenza di trattamento», contraria all'art. 11 e all'art. E della Carta, fra le donne incinte che hanno più facilmente accesso all'aborto autorizzato e quelle che, per ragioni geografiche o socio-economiche, si trovano più in difficoltà, a volte fino al punto di dover a volte rinunciare; inoltre, esiste anche una discriminazione fondata sul genere e lo stato di salute, fra le donne che vogliono accedere ai servizi per l'interruzione volontaria della gravidanza e gli uomini o altre donne che ricorrono ai servizi sanitari per altre ragioni, senza riscontrare alcuna restrizione.
Il terzo punto non riguarda le pazienti, ma la differenza di trattamento fra il personale obiettore e quello non obiettore. La Cgil aveva prodotto una serie di elementi per provare che il personale medico non obiettore subisce una serie di svantaggi rispetto agli obiettori, in termini di maggior carico di lavoro, ripartizione dei compiti e anche di possibilità di carriera. In questo caso la violazione consiste in una discriminazione contraria all'art.1 (par.2) della Carta sociale europea, ed è stata constatata da una maggioranza risicata del Comitato, 6 voti contro 5. Anche il quarto punto riguarda i medici, e in particolare le accuse di «mobbing» nei confronti dei non obiettori, sottoposti, secondo le accuse, a pressioni sistematiche fino a vere e proprie molestie psicologiche nell'ambiente di lavoro da parte del personale obiettore. Il Comitato ha considerato che gli elementi forniti dai ricorrenti sono insufficienti a constare una violazione della Carta sociale riguardo alla fattispecie del «mobbing», ma con 7 voti contro 4 ha comunque concluso che il governo non ha preso alcun provvedimento preventivo - in termini formazione e sensibilizzazione del personale - per assicurare la tutela dei medici non obiettori, violando l'art. 26 (par.2) della Carta.
Il Comitato, infine, ha constato all'unanimità l'assenza di altre quattro violazioni che della Carta sociale che i reclamanti avevano denunciato.


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