Dal governo

Fabbisogni di personale, da oggi la formazione si programma

di Barbara Gobbi

S
24 Esclusivo per Sanità24

Chi accede oggi alle facoltà che sfornano professionisti sanitari troverà al termine degli studi uno sbocco occupazionale o rischierà di trovarsi con il classico cerino in mano? A questo interrogativo, che - grazie alla libera circolazione dei professionisti - riguarda l’Italia sempre più in un’ottica Ue, ha cominciato a rispondere il progetto pilota condotto dal ministero della Salute nell’ambito della Joint Action europea “Health Workforce Planning and Forecasting”. Un programma sperimentale durato 16 mesi, che ha raccolto in gruppi di lavoro i tecnici della Salute e dell’Agenas ma anche le Regioni, gli Ordini professionali e le federazioni di cinque categorie: medici, infermieri, dentisti, farmacisti e ostetriche.

Si tratta di una base di partenza che guarda al medio-lungo periodo - da qui al 2040 - e che dev’essere ancora supportata da una forte definizione della domanda di professionisti, che solo un chiaro indirizzo di politica sanitaria potrà fornire. Con ingredienti come il potenziamento delle cure primarie o del “transitional care”, utili in un’epoca di crescente carico della cronicità dovuta all’invecchiamento della popolazione. Ma il lavoro svolto da gennaio 2015 a oggi non è aria fritta: «I risultati di quello che è un “work in progress”, da perfezionare e implementare costantemente, sono alla base dell’imminente Accordo Stato-Regioni sulla definizione annuale dei fabbisogni per l’accesso ai corsi di laurea», spiega Rossana Ugenti, Dg direzione generale Professioni sanitarie e Risorse umane del Ssn. E quest’anno la programmazione, per le 5 categorie interessate dal progetto pilota, dovrebbe avvantaggiarsi degli assunti condivisi in partenza nel progetto pilota, come la scelta di prendere in considerazione, ai fini della stima del fabbisogno, il numero di professionisti attivi al 31 dicembre 2014. Dai fabbisogni si passerà con più precisione a definire il numero degli accessi.

Non solo: progressivamente la condivisione dei dati di partenza e l’applicazione di metodologie concordate tra gli attori in gioco dovrebbe restringere - se si guarda ai medici - anche la forbice con i posti a bando per le scuole di specializzazione. «L’obiettivo - spiega Roberto Stella della Fnomceo - è pareggiare da qui a 15 anni il gap tra medici sfornati dagli atenei e borse di specializzazione, avvicinandosi al parametro europeo di 3,9 medici per 1.000 unità di popolazione. Oggi l’Italia è ben al di sopra: 4,3 medici per 1.000. Da qui al 2040 quindi si punta a stabilizzarsi sui 7mila accessi a Medicina ogni anno, cifra “giusta” per garantire il ricambio tra i professionisti. Il gap rispetto alle borse di specializzazione a bando, a guardare i dati 2015, è dovuto alla sommatoria tra gli 8mila iscritti e i ricorrenti post concorso, che fanno lievitare il totale a circa 11mila». In ogni caso nel tempo - tengono a precisare dalla Fnomceo - andranno ridistribuite le specialità. L’emergenza rossa riguarda in particolare i pediatri ma anche i medici di medicina generale. Questi ultimi «nei prossimi cinque anni - aggiunge Stella - perderanno 15.000 unità e ne acquisteranno circa 5mila, pari alle mille “borse” in palio ogni anno».

Tra le categorie esaminate dal progetto pilota, si registra un forte surplus per quella del farmacista, nelle cui facoltà non è stato ancora introdotto l’accesso programmato: stando ai dati presentati per la Fofi da Maximin Liebl, da qui al 2040, anche a ipotizzare un blocco immediato degli accessi alle facoltà, i professionisti presenti sul mercato sarebbero in grado di soddisfare la domanda. Gli odontoiatri registrano - come spiega per la Cao-Fnom Sandro Sanvenero - un +63% di professionisti. Tanti da poter mantenere il mercato ancora in equilibrio al 2025. Una proiezione futura non può non tenere conto dei numeri di partenza ma in ogni caso l’obiettivo a cui tendere, tanto più in un progetto di respiro europeo, è il numero programmato Ue».

Tutt’altro discorso vale per gli infermieri: «All’Italia - spiega la vicepresidente Ipasvi Maria Adele Schirru - ne servono subito almeno 17mila per soddisfare la norma Ue sui riposi e i turni di lavoro e altri 30mila per far fronte alle necessità del territorio. Gli infermieri attivi dovranno passare dal 6,1 per mille a 6.5 per mille abitanti, in un arco temporale ipotizzabile in 5 anni fino a raggiungere il 7 per mille entro dieci anni.

Capitolo a sé le ostetriche: secondo Maria Vicario (presidente Fnco) la grave crisi occupazionale degli anni scorsi sta diminuendo grazie a nuovi modelli organizzativi come il modello a coordinamento ostetrico e l’avvio della libera professione organizzata.


© RIPRODUZIONE RISERVATA