Dal governo

Censis: corsa verso il privato ma 11 milioni di italiani rinunciano alle cure

di Lucio Bondì

Nei grandi vasi comunicanti della sanità italiana quando il pubblico arretra è il privato a prendere il suo posto. L'ennesima conferma di questa tendenza arriva dallo studio Censis-RBM Salute presentato questa mattina a Roma in occasione del VI Welfare Day. La spesa sostenuta dai cittadini continua a crescere e ha ormai raggiunto i 34,5 miliardi di euro nel 2015, segnando un +3,2% in due anni. Un dato tanto più rilevante se pensiamo che la spesa complessiva delle famiglie, nello stesso periodo, è aumentata della metà e che in sanità si assiste da tempo a una progressiva discesa dei prezzi delle prestazioni private.

Ma cosa spinge oltre 10 milioni di italiani a fare maggiore uso di cliniche e laboratori privati rispetto al passato? Sono sempre le liste di attesa il tasto dolente del sistema pubblico: il 72,6% degli intervistati si è infatti rivolto al privato o all'intramoenia per evitare di aspettare mesi, o magari anni, per ottenere una prestazione. Ma quasi un terzo indica anche gli orari di apertura come un elemento importante: per chi lavora poter fare una visita o un esame al pomeriggio o di sabato rappresenta una comodità, anche perché, nel frattempo, sono aumentati del 5,6% i pazienti che dicono che, rivolgendosi al pubblico, avrebbero speso per il ticket più o meno quanto spendono nel privato.

Sale anche il numero di chi, non potendoselo permettere, rinuncia o rimanda le cure
Sono ormai 11 milioni di cittadini, 2 in più di quattro anni fa. Un dato che fa il paio con la percezione della qualità del sistema pubblico, diminuita per il 45,1% dei nostri connazionali, con i dati peggiori al Sud (52,8%) e migliori al Nord-est (35,4). Solo 13 italiani su 100, invece, pensano ci sia stato un miglioramento.
Nonostante più della metà degli italiani giudichino l'assistenza sanitaria pubblica inadeguata nella propria regione, e 5,4 milioni di persone abbiano ricevuto prestazioni o farmaci inutili, c'è però una forte contrarietà a qualsiasi progetto di legge che determini cosa un medico può prescrivere e cosa no. In particolare, poco più della metà dei pazienti si dice contrario a sanzionare i medici che consiglino interventi o esami inappropriati, e il 64% si oppone fermamente a qualsiasi legge che stabilisca cosa può essere prescritto e cosa no. La metà di questi, in particolare, crede che un medico debba scegliere in completa autonomia, ma sono anche molti coloro i quali vedono, in questi progetti, solo un tentativo di tagliare e fare cassa.
Di fronte alla crescita della spesa privata, però, la quota intermediata dalle assicurazioni rimane esigua. La crescita del settore è evidente: +6,5% in due anni, con gli assistiti quasi raddoppiati dal 2010 ad oggi (+88%). Ma questa tendenza non basta a tenere il passo, cosicché, nell'ultimo biennio, la quota di spesa per la sanità passata per i sistemi assicurativi è passata dal 14 al 13% del totale. C'è un crescente interesse dei cittadini per la sanità integrativa, tanto che ben 26 milioni di persone si dicono potenzialmente interessate, ma, in assenza di una regolamentazione chiara, il panorama rimane confuso e frammentato. Circa un quarto degli italiani si è visto proporre, almeno una volta, una forma di assicurazione, ma due terzi ha rifiutato per l'alto costo o perché non è convinto dell'utilità e dell'affidabilità delle assicurazione.
Eppure, sostiene la ricerca, una polizza sanitaria integrativa costa, in media, circa il 70% di quanto ogni italiano spende in un anno per visite ed esami, anche perché i grandi fondi sono in grado di spuntare prezzi molto più convenienti di quelli praticati al singolo paziente. Una adesione massiccia a questi sistemi, dicono le imprese assicuratrici, permetterebbe di liberare circa 15 miliardi di risorse aggiuntive nella sanità. Per questo chiedono un intervento del legislatore che definisca regole chiare e premi, con defiscalizzazioni e agevolazioni, la capacità di intermediazione della spesa.


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