Dal governo

Ipotesi pensione anticipata anche per i dipendenti pubblici

di Davide Colombo e Marco Rogari

Ape anche per gli statali. Al momento si tratta di un'ipotesi. Che ha comunque molte chance di entrare nel piano definitivo per rendere flessibili le uscite verso la pensione su cui sta lavorando il team di esperti di palazzo Chigi, guidato dal sottosegretario alla Presidenza, Tommaso Nannicini. Un piano che dovrebbe confluire nella prossima manovra di bilancio autunnale e che sarà discusso oggi nel secondo round governo-sindacati. L'operazione dovrebbe comportare oneri per le casse dello Stato non superiori ai 500-600 milioni includendo anche i dipendenti pubblici nel nuovo meccanismo sull'Anticipo pensionistico (Ape). Che prevede anche il ricorso alla “Rita”, la Rendita integrativa temporanea anticipata destinata a consentire al lavoratore “over 63”, che abbia aderito alla previdenza complementare e sia intenzionato a utilizzare la flessibilità-pensioni, la possibilità di incassare parte della pensione integrativa per ridurre l'impatto dell'Ape con il “vantaggio” di ridurre (anche dimezzare) il “prestito” bancario necessario per usufruire dell'assegno previdenziale anticipato.
Il nodo da sciogliere. Quello degli statali è uno dei nodi da sciogliere insieme a quello della calibratura delle “penalizzazioni” anche sulla base del reddito pensionistico e della “selettività”: la diversa decurtazione dell'assegno anticipato degli “over 63” a seconda della categoria di appartenenza (disoccupati di lungo corso, lavoratori interessati da processi di ristrutturazione aziendale e uscite volontarie). Al momento, una delle ipotesi più gettonate prevede il ricorso a penalizzazioni ultra-soft solo per i pensionati di lungo corso. In media la decurtazione dell'assegno dovrebbe essere del 3-4% nell'ambito di forchetta che dovrebbe variare da un minimo dell'1% a un massimo dell'8 per cento.

Il meccanismo del prestito. Perno dell'Ape resta il meccanismo del “prestito” , che sarà garantito dalle banche (sotto forma di cessione di prestito individuale) con un'assicurazione sui rischi collegati al processo di restituzione e senza un'esplicita garanzia pubblica. Snodo chiave di tutto il processo dovrebbe essere l'Inps, che avrà anzitutto il compito di certificare la pensione ma probabilmente anche quello di erogare l'assegno di svolgere un funzione di raccordo tra lavoratore e banche.

Detrazioni fiscali e sperimentazione. Un altro punto fermo del piano-flessibilità è il ricorso a detrazioni fiscali che scatteranno una volta percepito l'assegno anticipato innescando così uno dei dispositivi di selettività: saranno maggiori per chi ha redditi bassi e per i disoccupati di lungo corso in condizione chiaramente disagiata con conseguente quasi azzeramento della decurtazione dell'assegno anticipato (la traduzione in “penalizzazioni” del meccanismo del prestito) e più elevate per chi possiede redditi alti e per le uscite volontarie, a carico delle aziende nei casi di ristrutturazione. Quanto alla tempistica, si partirebbe con una sperimentazione di tre anni (per i nati dal 1951 al 1953, appunto) con l'obiettivo di rendere successivamente strutturale l'intervento.
Resta da vedere che cosa ne pensano i sindacati. Che puntano a una soluzione concordata. Ieri il sottosegretario della Uil, Domenico Proietti, ha evidenziato che nel Fondo dei lavori usuranti e nel Fondo per il lavoro di cura sarebbero rimasti inutilizzati circa 3,6 miliardi destinabili a reintrodurre la flessibilità a partire dai 62 anni.


© RIPRODUZIONE RISERVATA