Dal governo

Regioni nel guado tra riforma e realtà

di Ettore Jorio (Università della Calabria)

Il caso del bilancio dell'Ausl di Bologna, a fronte del quale la Regione ha segnalato un’anomalia alla Procura della Repubblica per una sovrastima di immobili che pesa 30/35 milioni, e - tempo addietro - di quello dell'Asp di Massa Carrara che aveva registrato un buco di 200 milioni di euro e tanti altri esempi di cattiva amministrazione sono sintomatici del bisogno di revisione generale del sistema delle aziende sanitarie. Accade, infatti, nelle «migliori famiglie» (per l’appunto, l'Emilia-Romagna e la Toscana, esempi di sanità che funziona) ciò che accade nella quasi totalità di quelle «peggiori» - ove la buona sanità si fa fatica persino a immaginarla- che vedono la Calabria perennemente titolare del primato di ciò che peggio non si può. Quest'ultima afflitta, per esempio, dall'azienda sanitaria di Reggio Calabria che disconosce da decenni, nonostante i commissariamenti di diverso genus, persino la sua consistenza economico-patrimoniale e fiscale, nell'assoluta tolleranza del sistema dei controlli e delle Autorità ad essi preposte. Un «fenomeno» che, ancorché ridimensionato per grado di assurdità, accade anche altrove, reso possibile in un sistema che per vent'anni ha celato addirittura l'accumulo del debito per miliardi di euro, a fronte del quale (reato) però nessuno ha pagato.
Un dato che la dice lunga sull'inefficienza di un sistema che dovrebbe rendersi erogatore uniforme dei Lea su tutto il territorio nazionale, così come pretende la Costituzione. Una conclusione che impaurisce il Paese e terrorizza il Meridione se analizzata in combinata lettura con gli undici milioni di cittadini che rinunciano alle prestazioni dell'assistenza pubblica per l'inefficienza della stessa ad offrire i Lea alla collettività.

In uno Stato - inteso come componente di quella Ue messa in discussione in questi giorni dalla «vigliaccata» inglese in senso stretto, dal momento che gli scozzesi, gli irlandesi del nord e i londinesi multietnici e autentici rinnovatori hanno votato per la permanenza - che vuole rendersi garante reale dei servizi essenziali ai cittadini e non, le riforme contano più che altrove. Tra queste, anche la revisione della Costituzione.
Quanto a quest'ultima, nel testo sottoposto all'esame referendario continuano a essere previsti, ovviamente, i principi fondanti sui quali, poi, le Regioni hanno il compito di legiferare in modo utilitaristico. Meglio, di individuare modi e tempi per garantire concretamente i Lea alle loro collettività. Un risultato, questo, cui pervengono concretamente poche Regioni, tanto da registrarne ad oggi otto in piano di rientro (oltre alle tre che ne sono uscite: Sardegna, Liguria e Veneto) di cui cinque in perenne commissariamento.
Con la prevista revisione verrebbe attribuita allo Stato la disciplina delle disposizioni generali e comuni (all'ultimo periodo art. 117, c.2, lett. m) riguardanti la tutela della salute e le politiche sociali.

Cosa vuol dire tutto ciò?
I principi fondamentali - quelli cui oggi fa riferimento la legislazione concorrente che si vorrebbe abrogare - altro non sono che riferimenti astratti, presuntivamente invalicabili, frutto di analisi compiute sul piano prettamente teorico, posti a base della regolazione statale, funzionali a segnare il limite entro il quale le Regioni avrebbero l'obbligo di esercitare il loro potere legislativo. La teoria e l'astrattezza sono la loro prerogativa negativa, tant'è che, nella pratica, sono state le Regioni più deboli a soffrirne soprattutto in termini di servizi reali alla persona, perché incapaci a garantirli attraverso leggi ben fatte, spesso pedissequamente copiate da altre realtà e dunque inadeguate allo scopo.
Le disposizioni generali e comuni, introdotte dalla revisione, sono da intendersi invece delle regole specifiche e pragmatiche, comprensive di valori minimi predeterminati e concreti delle prestazioni e dei servizi da rendere esigibili ovunque. In quanto tali, rappresentative di tutele reali poste a base dell'ordinamento nazionale, garanti dell'esigibilità concreta dei diritti dei cittadini, da rendere obbligatoriamente in tutti gli ordinamenti regionali nella loro comune portata.
Ciò costituisce lo strumento costituzionale per imporre alle Regioni di divenire maggiormente garanti dei quei diritti di assistenza tracciati nei Lea, da rendere esigibili, in via generale e comune, a tutti nel loro spessore erogativo quali-quantitativo determinato dallo Stato. L'occasione, insomma, per avvicinare quanto è più possibile, in termini di perfomance dei diritti sociali, le regioni «maglie rosa» con quelle che hanno la «maglia nera». Magari riformando l'attuale sistema aziendale che tanti danni sta producendo a circa trenta milioni di cittadini, nei confronti del quale a poco servono le rinnovate modalità di selezione del management, del tipo quella introdotta da uno dei decreti attuativi della c.d. riforma Madia in via di pubblicazione. Quei manager capaci che nel Paese si fa fatica a trovare, fatte le dovute eccezioni. Sono infatti sempre gli stessi a girare, malgrado tutti i fallimenti dietro le loro spalle, spesso perché espressione della lobby giusta.


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