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Gli igienisti sui nuovi Lea: «Bene il capitolo prevenzione ma vanno chiariti tempi e finanziamenti»

di Carlo Signorelli (presidente Società italiana di Igiene - SItI)

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Due sono le domande spontanee che sorgono dopo la lettura dell’ennesimo schema di decreto sui nuovi Lea per la prevenzione collettiva: quando entreranno effettivamente in vigore e quale quota del Fondo sanitario sarà destinata a soddisfare questi livelli che dovrebbero essere considerati il più importante investimento per la salute della popolazione italiana e non un costo, come nel caso dell'assistenza distrettuale e di quella ospedaliera.
La nuova bozza dei Lea per la “prevenzione collettiva e sanità pubblica” è decisamente migliorativa e più completa rispetto alla versione vigente (che risale al 2001 e denominava questi interventi di “assistenza sanitaria in ambienti di vita e di lavoro”). Essa ricalca per larga parte la bozza già predisposta nel 2015 con la non irrilevante novità dell’inserimento del nuovo Piano di Prevenzione Vaccinale 2016-18, che da un anno rimbalza tra ministero della Salute, ministero dell'Economia e Conferenza Stato-Regioni, in attesa dell'approvazione definitiva.

Nello schema ministeriale vengono specificati e aggiornati gli interventi da erogare che risultano essere divisi in sette aree (rispetto alle sei precedenti) che dettagliano le principali azioni da svolgere auspicabilmente in modo coordinato ed efficiente:
A- Sorveglianza, prevenzione e controllo delle malattie infettive e parassitarie, inclusi i programmi vaccinali
B - Tutela della salute e della sicurezza degli ambienti aperti e confinati
C - Sorveglianza, prevenzione e tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro
D - Salute animale e igiene urbana veterinaria
E - Sicurezza alimentare – Tutela della salute dei consumatori
F - Sorveglianza e prevenzione delle malattie croniche, inclusi la promozione di stili di vita sani ed i programmi organizzati di screening; sorveglianza e prevenzione nutrizionale
G - Attività medico legali per finalità pubbliche
I livelli essenziali delle attività svolte tradizionalmente nei Servizi di igiene, epidemiologia e sanità pubblica vengono dettagliati in tre distinte aree: le misure di prevenzione per le malattie infettive (incluse le vaccinazioni); la sorveglianza e controllo delle patologie croniche (inclusi gli screening oncologici e la sorveglianza nutrizionale); le iniziative in campo ambientale. Restano separate le attività delle aree di medicina del lavoro, di salute animale e igiene urbana veterinaria, di sicurezza alimentare-tutela della salute dei consumatori e di medicina legale per finalità pubbliche. Questo schema potrà essere la guida per l'organizzazione interna dei Dipartimenti di prevenzione delle Asl che - in base al vigente Piano nazionale di Prevenzione 2014-18 - devono svolgere compiti di erogazione degli interventi ma anche di governance complessiva per il raggiungimento degli obiettivi di salute.

I livelli per la prevenzione collettiva e la sanità pubblica recepiscono per larga parte le strategie di Oms e Ue e di altre organizzazioni internazionali per la promozione della salute e le iniziative già incluse nella programmazione nazionale e regionale più aggiornata. I programmi sintetici descritti dovrebbero essere i fattori di garanzia per il raggiungimento degli obiettivi e uno stimolo per approntare sistemi di valutazione in grado di descrivere e misurare le attività svolte sul territorio ed in particolare all'interno dei Dipartimenti di prevenzione delle Asl.
Ci sarebbero alcuni aspetti tecnici da chiarire meglio come la determinazione delle prestazioni di provata efficacia, le attività di prevenzione erogate ad altri livelli (es. dai Medici di Medicina Generale) e le modalità di eliminazione delle ancora troppo frequenti pratiche inutili, obsolete e inappropiate; per questi dettagli potrebbe essere un tavolo tecnico ad aggiornare gli standard operativi. Per quanto riguarda le attività nel settore ambientale si registra l'assenza delle attività di valutazione di impatto ambientale (VIA), valutazione di impatto ambientale-sanitario (VIAS) e valutazione del danno sanitario (VDS) che invece vedono oggi molti operatori della prevenzione impegnati attivamente. Ma il nodo critico dei nuovi LEA per la prevenzione (così come per gli altri livelli) è, a mio avviso, legato al sistema di finanziamento.

Le tabelle dei costi, allegati ai documenti circolanti, appaiono frammentarie e superficiali e non consentono di avere un quadro realistico di quanto queste prestazioni costino effettivamente al Ssn, di quale sia lo stanziamento che regioni e Asl debbano prevedere, di quali variabili debbano essere considerate in relazione al fatto che alcuni costi non sono strettamente legati alla numerosità ed età della popolazione (come per le spese distrettuali e ospedaliere). Infatti influiscono talvolta in modo rilevante alcuni fattori locali come i flussi turistici, i rischi ambientali, la concentrazione delle attività produttive, la densità della fauna e degli allevamenti, le epidemie ed epizoozie e le emergenze come la gestione sanitaria degli sbarchi degli immigrati.
Una menzione a parte merita la questione dei controlli ambientali, affidati dopo il referendum del 1993 alle Agenzie Regionali per la Protezione dell'Ambiente (ARPA) ma finanziati in tutte le regioni dal fondo sanitario ed in particolare da questo livello dei Lea per una cifra complessiva di circa 0,5 miliardi di Euro/anno. Il nuovo documento ministeriale dovrebbe chiarire finalmente l'entità, i costi e la paternità di queste attività anche alla luce delle recenti emergenze ambientali e delle nuove norme in discussione in Parlamento sulla Riforma delle Agenzie Ambientali e sui Livelli Essenziali delle Prestazioni Tecniche Ambientali (LEPTA). La logica direbbe di scorporare questa voce di spesa ma se ciò fosse tecnicamente difficile o non opportuno (e venisse valutata strategicamente come una fondamentale attività di protezione della salute umana) bisognerebbe chiarire l'equivoco che si trascina da troppi anni. Chi deve stimare, valutare e gestire i rischi ambientali per la salute umana se non il Servizio sanitario nazionale ?
Sarebbe infine quanto mai utile uno studio economico accurato che valuti i costi analitici di questi nuovi livelli e i parametri locali per giungere a una stima che venga poi vincolata a queste attività. Al momento, a fronte di un 5% enunciato in diversi documenti di programmazione sanitaria (ma mai verificato analiticamente), continuiamo a riscontrare una spesa annuale del 4,1% del fondo per le attività di prevenzione, dato che è rimasto stabile nell'ultimo decennio. È logico chiedersi quale sia l'orientamento futuro considerando che le attività di prevenzione vengono riconosciute da tutte le organizzazioni internazionali come uno dei pilastri fondamentali per la sostenibilità dei sistemi sanitari negli anni futuri ed in particolare di un sistema a matrice prevalentemente pubblica come quello dell'Italia.


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