Dal governo

Gli e(o)rrori del Governo che scendono a valle (nelle Regioni commissariate)

di Ettore Jorio (Università della Calabria)

Nel bel Paese vigono regole generali e ineludibili che scandiscono la gerarchia delle fonti, la formazione delle leggi e dei provvedimenti aventi valore di legge (decreti legge e decreti legislativi) nonché una netta distinzione tra l'esercizio della potestas legislativa e quella provvedimentale. Quanto all'esercizio dei poteri attribuiti agli enti infra-statali (Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni) essi sono ben specificati nell'ordinamento.
La Costituzione prevede tuttavia (art. 120, comma 2) che qualora un ente territoriale non faccia ciò che deve può essere sostituito dal Governo, per il tramite di appositi commissari ad acta. Ciò può essere fatto allorquando è messa in pericolo l'unità giuridica ed economica della Repubblica e soprattutto quando venga minacciata l'esigibilità dei livelli essenziali delle prestazioni che rintracciano nei Lea la loro traduzione salutare.
Ebbene, sempre nel bel Paese succede che cinque Regioni sono state commissariate per tali motivi, perché incapaci da sole a garantire la tutela della salute alle collettività di riferimento.

Il problema nel problema. In tre regioni (Calabria, Abruzzo e Molise) le loro rispettive organizzazioni sanitarie sono state disegnate con leggi, approvate dai loro rispettivi Consigli regionali a seguito di accurate istruttorie effettuate dagli uffici e, soprattutto, in combinata analisi del fabbisogno epidemiologico da soddisfare condiviso con i sindaci e le rappresentanze sociali e categoriali. Va da sé che ogni variazione a siffatti assetti sanitari regionali, specie in riferimento alle strutture fisse dedicate alla spedalità diffuse sul territorio, debba essere perfezionata con analoghi provvedimenti legislativi. Il tutto, nel rispetto della formula costituzionale che le leggi possono essere modificate e/o integrate esclusivamente con leggi ovvero con provvedimenti aventi uguale valore.
Di conseguenza, ai commissari ad acta - nominati dal Governo per assistere tutte le fasi utili a portare avanti il programma di riorganizzazione, di riqualificazione e di potenziamento dei rispettivi Ssr, comunemente definito piano di rientro - è attribuita la potestà di adottare provvedimenti amministrativi e regolamentari e non già legislativi. Ciò in quanto questi ultimi possono essere approvati, a mente della Costituzione, solo e soltanto dal Parlamento e dai Consigli regionali nonché dal Governo nelle ipotesi previste dagli artt. 76 e 77 della Carta.

Il paradigma incontestabile e gli scivoloni. Lo ha deciso reiteratamente la Consulta (sentenze: 2/2010; 361/2010; 110/2014; 278/2014; 227/2015), ma lo ha affermato esplicitamente il medesimo legislatore ordinario. Un assunto, quest'ultimo, colpevolmente trascurato dal Governo, per esempio con la stesura della deliberazione adottata il 19 marzo 2015 che ha provocato, a valle, non pochi errori blu. Lo ha fatto al punto 13) del disposto, contraddicendosi con la Costituzione, con leggi dello Stato e attraverso un uso inappropriato del lessico giuridico, arrivando persino alla neointroduzione dell'istituto della «rimozione .... dei provvedimenti legislativi» da perfezionarsi a cura del commissario ad acta.
Errori marchiani capitalizzati, per esempio, abbondantemente dal commissario ad acta della Regione Calabria e, conseguentemente, dal Tavolo Adduce, che per l'occasione ha dimostrato una pericolosa disattenzione nel valutare (positivamente) i percorsi e i provvedimenti adottati dal commissario ad acta di chiara portata legislativa. Entrambi, infatti, hanno offerto l'occasione per dimostrare di conoscere, nell'occasione, poco e male la giurisprudenza costituzionale formatasi al riguardo ma soprattutto quanto sancito dal legislatore ordinario nei casi di specie.

L’errore e il danno. È, infatti, accaduto che il commissario ad acta per la Calabria - non facendo tra l'altro tesoro di quanto avvenuto in Molise e Abruzzo a cura dei suoi omologhi a seguito delle intervenute anzidette sentenze della Consulta e dei Tar (da ultimo, Tar Molise 297/2015), ritornati poi a regime costituzionale a seguito delle richiamate sentenze della Consulta - ha continuato imperterrito ad adottare provvedimenti inidonei a modificare le leggi regionali di riferimento ovvero, alternativamente, ad esercitare illegittimamente la postestas legislativa riservata alle Regioni. Ciò in aperto contrasto anche con quanto approvato, nello specifico, dal legislatore statale (si legga su questa Rivista, da ultimo, il 18 luglio, il 23 e il 6 maggio scorsi).
L'art. 2, comma 80, della legge 191/2009, così come modificata dall'art. 17, comma 4, lett. a), del D.L 98/2011, convertito nella legge 111/2011, ha infatti specificato che il commissario ad acta, investito dal Governo dei poteri sostitutivi ordinariamente assegnati in materia sanitaria al Governatore e alla Giunta regionale, allorquando rinvenga “ostacoli derivanti da provvedimenti legislativi regionali”, è obbligato ad indicare e trasmettere al Consiglio regionale “i motivi di contrasto” e, comunque, il da farsi. Di conseguenza, il Consiglio regionale, entro i successivi 60 gg., provvede ad apportare le necessarie modifiche alla proprie leggi che fossero in contrasto, ovvero a sospenderne l'efficacia o ad abrogarle. Quindi, al massimo Consesso regionale il compito costituzionale di legiferare senza che tale potestas possa essere surrogata da chicchessia.
Su tutto, l'amaro in bocca a causa di un Governo e dei suoi derivati periferici (i commissari) che non tengono nel dovuto conto quanto deliberato dal Parlamento. Non solo. Il dramma dei cittadini di pagare il conto di chi superficialmente gioca con i loro diritti fondamentali.


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