Dal governo

Quale concorrenza in sanità?

di Silvia Stefanelli (avvocato)

Concorrenza e tutela della salute. Tema nuovo nel nostro ordinamento, da sempre un po’ refrattario ad aprirsi ad una vera competizione, specie in settori considerati delicati come quella della salute. La difficoltà sembra essere insita nella natura pubblica del servizio, che in qualche modo osterebbe ad una applicazione ampia dei principi di concorrenza.
Al contrario invece la concorrenza può rappresentare uno strumento idoneo a migliorare la qualità delle prestazioni, uscendo dalla strettoie (che fino ad oggi l'hanno caratterizzata in ambito snaitario) della mera sostenibilità del sistema.
Questa la posizione, molto chiara, del Segretario Generale AGCM Roberto Chieppa al convegno organizzato dalla Società Italiana Avvocati Amministrativisti che ha avuto luogo ieri a Roma presso l'Auditorium (affollatissimo) della stessa Autorità.
Il titolo, coraggioso, era proprio ”Concorrenza e tutela della salute” .
Occasione importante per fare il punto di una materia che senza dubbio fatica a trovare la sua strada e la sua dignità in questo settore.
Certo non sono mancati i casi in cui l'AGCM è intervenuta utilizzando gli strumenti forniti dall'ordinamento per fermare le intese limitative della concorrenza in ambito di farmaci o dispositivi medici ( per tutti il procedimento I760 che ha sanzionato il cartello Roche-Novartis sulle vendite dei farmaci Avastin e Lucentis per la cura della vista, la cui vicenda però è tutt'ora pendente avanti alla Corte di giustizia per un rinvio da parte del Consiglio di Stato 966/2016 - qui commentata).
Ma ciò non toglie che sussistono problemi strutturali nell'organizzazione del nostro servizio sanitario che ne limitano, intrinsecamente, la competitività.
Oltre alla commistione tra soggetto controllore e soggetto erogatore che non agevola la qualità della prestazione (aspetto già segnalato dall'AGCM nel lontano 1999 con la nota AS175), i limiti alla concorrenza appaiono evidenti nelle barriere poste agli operatori privati circa l'accesso agli accreditamenti ed ai relativi contratti: la qualificazione infatti dell'accreditamento come una concessione priva di limiti temporali ha, di fatto, totalmente “ingessato” il mercato a favore degli erogatori storici.
Ed ancora la pressoché totale mancanza a tutt'oggi di informazioni chiare ai pazienti sull'efficacia e qualità di ospedali e strutture sanitarie, di fatto impedisce agli stessi una scelta più consapevole del luogo di cura ponendo quindi le strutture in competizione tra loro.

Quale concorrenza è allora pensabile in un sistema che vuole continuare a tutelare la salute?
Partendo dall'assunto che una concorrenza sana - e che tenga conto della specificità di questo “mercato” - può portare non solo benefici alle imprese ma anche miglioramenti alla qualità delle cure, dal confronto aperto a Roma sono emersi alcuni stimoli che meritano attenzione.
Il primo riguarda il nuovo codice degli appalti con il quale pare ci si muova nella direzione di cancellare il persistente tabù che vede in ogni contatto tra imprese e pubbliche amministrazioni un profilo corruttivo: l'art. 66 del D.Lgs 50/2016 infatti disciplinando - e quindi legittimando pienamente - le consultazioni preliminari di mercato apre le porte alla possibilità per la pubblica amministrazione di conoscere meglio i prodotti e quindi di capire meglio che cosa acquistare tramite le centrali di acquisto: una azienda sanitaria che conosce il mercato agevola la concorrenza, perché è messa nelle condizioni di acquistare un prodotto efficace ad un prezzo competitivo.
Parallela a questa apertura - e quasi a contraltare - l'ampliamento degli obblighi di trasparenza contenuti nel primo decreto (dlgs 97/2016) di attuazione della Riforma Madia che, intervenendo appunto su pubblicità e trasparenza, consentiranno di potenziare conoscenza: e senza dubbio non c'è competitività senza conoscenza.
Da ultimo il possibile ruolo dei fondi sanitari integrativi.
Sdoganati nel '99 con la c.d Riforma Bindi (dlgs 2290/'99), sembra che solo negli ultimi anni stiano conoscendo un più ampio sviluppo ( qui il commento al welfare Day 2016).
Sotto questo profilo l'entrata in campo di questi soggetti, ove correttamente indirizzata verso ambiti che il Ssn fa fatica a coprire quali la prevenzione e la nascente sanità digitale, può rappresentare uno strumento per aiutare i cittadini a rimanere in salute avviando anche un processo di miglioramento delle cure.


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