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Caso Catania: per la task force della Salute non ci sono legami con l’obiezione di coscienza

La donna morta di parto a Catania, nel dare alla luce due gemellini nati morti, non è rimasta vittima di disfunzioni legate all’obiezione di coscienza dei medici. E' la conclusione a cui è giunta la task force inviata dal ministero della Salute all’Ospedale Cannizzaro, che ha redatto una relazione preliminare cui seguirà entro 30 giorni la relazione definitiva.

«Si ritiene opportuno specificare - si legge nella relazione - che dalla documentazione esaminata e dalle numerose testimonianze raccolte dal personale non si evidenziano elementi correlabili all'argomento “obiezione di coscienza”. Si è trattato di evento abortivo iniziato spontaneamente, inarrestabile, trattato in regime d’emergenza».

La donna, di 32 anni, era ricoverata dal 29 settembre (17ma settimana di gravidanza), con diagnosi di “minaccia d’aborto in gravida gemellare”. La paziente «era in trattamento adeguato per le condizioni di rischio dal momento del ricovero; in data 15 ottobre, alle ore 12.00 circa, presenta picco febbrile a 39 °C con somministrazione di antipiretici e ripresa immediata di terapia e.v. con antibiotici. Le prime valutazioni cliniche e il monitoraggio dei parametri vitali non evidenziano alcun dato anomalo, se non -alle ore 16.00 circa- un iniziale abbassamento della pressione arteriosa. Gli accertamenti ematici evidenziano, in modo crescente dall'inizio alla fine, una situazione compatibile con un quadro settico e una coagulopatia da consumo, con progressiva anemizzazione e progressivo calo dei valori pressori». Vengono allertati gli anestesisti, «al fine di un approccio coerente con le condizioni ingravescenti della donna, che vengono comunicate ai parenti presenti con tempestività. Alle 23.20, in sala parto, la paziente espelle il primo feto morto. Alle 24.00 inizia infusione con ossitocina, in coerenza con la necessità clinica di indurre l’espulsione del secondo feto, che avviene alle ore 1.40 del giorno 16 ottobre. Viene coinvolto un secondo anestesista di turno e si sposta la donna in sala operatoria, per le procedure di secondamento chirurgico e di revisione della cavità uterina in anestesia, che si completano alle 2.10. Si osservano perdite ematiche, tanto da indurre un tamponamento vaginale e, successivamente (vista l'atonia uterina) un tamponamento della cavita' uterina; vengono somministrati farmaci appropriati. Le condizioni generali tendono al peggioramento; la signora viene intubata ed assistita sul piano ventilatorio. Viene trasferita in U.O. di rianimazione dove, alle ore 13.45, nonostante il massimo livello assistenziale ed un transitorio miglioramento delle condizioni generali, arriva all'exitus. I Parenti sono stati sempre informati e sostenuti dall'intera equipe degli ostetrici e degli anestesisti».

Fin qui la ricostruzione della drammatica vicenda. Poi gli ispettori scrivono una serie di raccomandazioni: «Necessità di una attenta valutazione delle procedure finalizzate al lavoro in e'quipe multidisciplinare. Ridefinizione delle modalità di comunicazione tra equipe con definizione dei livelli di “alert”. Puntuale verifica delle modalità comunicative con gli utenti. Implementazione di protocolli operativi sintetici e mirati alla pronta individuazione delle situazioni a rischio. Definizione del rapporto tra personale ostetrico e infermieristico, al fine di un ottimale equilibrio tra carichi di lavoro e specificità dell’attività in U.O. di ostetricia». Infine si suggerisce una «precisa definizione delle modalità di attivazione dei percorsi organizzativo-assistenziali in emergenza urgenza».

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